Nero a Milano – Romano De Marco



Romano De Marco
Nero a Milano
Piemme
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Finita la lettura dell’ultimo romanzo di De Marco si fa fatica ad abbandonare il mondo in cui ci ha trascinati: nel libro si muove una variegata e quanto mai viva e reale umanità, i cui pensieri sfiorano spesso quelli del lettore. In una Milano dal cielo nero e inquinato, che incombe sugli abitanti come la cappa di malvagità dentro la quale si svolge la vicenda, il commissario Luca Betti e l’investigatore privato Marco Tanzi si trovano a dipanare una ragnatela di delitti: l’assassinio di una coppia al di sopra di ogni sospetto, la morte di una bambina e il suicidio del nonno, gli omicidi tra clochard di una Milano invisibile e notturna, in un vortice inarrestabile di puro male. Con un perfetto meccanismo a incastro, lo scrittore costruisce un noir vibrante di ferocia e di umanità. Si solidarizza con la rabbia di Luca Betti, insofferente ai cavilli burocratici che rallentano e deviano il corso della giustizia, con Marco Tanzi, che deve scegliere tra legge e giustizia per ristabilire un equilibrio spezzato, soprattutto dentro di sé. Si solidarizza con il giovane Davide, che abbandonando la famiglia, facoltosa e borghese, vuole ritrovare in mezzo ai clochard la libertà di poter essere se stesso, un “non normale”, un non adeguato. In una Milano produttiva e indifferente, violenta e caritatevole, si consuma la tragedia di vite normali, pensionati che cercano il senso di un’ esistenza al capolinea, ragazzi che continuano ostinatamente a credere nel futuro, poliziotti che si sentono tali fino all’ultimo. Vite che a volte sono celate da maschere: quella del cinico che in fondo è un sentimentale, quella dell’onesto che ha l’anima purulenta e insozzata.
La narrazione, che varia dalla prima alla terza persona, consente di infilarsi nell’anima e nella mente dei personaggi sulla scena, e contribuisce a rendere ancor più complesso e avvincente l’enigma (anzi, gli enigmi) da risolvere.
In Nero a Milano  troviamo ben più del giallo, a partire dalla figura pirandelliana del giovane Davide, il ragazzo che potrebbe avere tutto ma si sente un nulla, che guarda il mondo con gli occhi di chi, classificato dagli altri come diverso e psicotico, comprende l’assurdità dell’apparenza, il vuoto nascosto del troppo: di cibo, di abiti, di cose, fuggendo dall’inganno della ricchezza.
C’è un’altra figura molto significativa all’interno del libro, quella del dottor Morino, lo psicoterapeuta che aiuta il commissario a guardarsi dentro. Nella saggezza, nel sereno distacco dei suoi dialoghi con Luca Betti si trova un’analisi profonda sui tempi in cui siamo immersi, dilaniati dalla sfiducia nella giustizia, dalla rabbia rancorosa e dilagante di chi teme di essere lasciato indietro, dalla paura ancestrale del dolore e della morte.
De Marco ha dedicato il libro, oltre che alla povera Fortuna Loffredo, ad Andrea G. Pinketts, il noto giallista mancato da poco, e l’ha introdotto con una citazione di Raul Montanari, di cui ha affettuosamente inserito nel testo un personaggio caratteristico di diversi suoi libri. Ė un’operazione insolita, ma commovente ed efficace, quasi un cavalleresco omaggio, come un testimone che si passa da un giallista all’altro, nel comune ricordo dell’amico perduto.
Non a caso, l’amicizia è uno dei temi fondamentali di questo romanzo sincero e toccante, che dietro alla finzione del genere affronta argomenti e temi che stanno a cuore a tutti noi.

Donatella Brusati

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