Niente è mai acqua passata- Alessandro Bongiorni. La scuola noir milanese




Niente è mai acqua passata- Alessandro Bongiorni. La scuola noir milanese

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Quarto e ultimo appuntamento con “Niente è mai acqua passata ” di Alessandro Bongiorni .

Oggi , con l’ultimo video girato nei luoghi del libro, via Lincoln, un interessante articolo di Andrea Rosselli sul Noir Milanese.
In principio era il Noir, il Noir era presso Milano e il Noir era Milano.
Rimandi biblici a parte, perché un rapporto così stretto ed evidente tra un genere ed una città? Perché? Perché se l’Italia fosse un fumetto, Milano sarebbe la sua Gotham City, seducente e pericolosa. Perché se l’Italia fosse l’America dei gangster, Milano sarebbe New York e Chicago, insieme. Perché se il Bel Paese fosse un Brutto Paese, la sua “capitale morale” diverrebbe immediatamente la “capitale del vizio”. Ma soprattutto perché se Milano fosse una lunga favola nera, i noiristi sarebbero i suoi cantastorie, gli unici poeti sensibili al lato oscuro del sogno meneghino. Così, come nella storia della “Milano Criminale” raccontata da Paolo Roversi, accade che cronaca e favola si scontrino, fin dall’inizio, sovrapponendo date, volti e storie della malavita ai primi successi di una nuova “scuola” narrativa, destinata a segnare l’immaginario di milanesi e italiani almeno quanto le canzoni di Nanni Svampa e Enzo Jannacci.
Succede allora che nel 1966 Garzanti pubblica “Venere Privata”, romanzo di uno scrittore di origine ucraina, approdato alla letteratura gialla dopo approcci diversi a generi lontani. Da quel momento in poi, con il successo della quadrilogia del medico-sbirro Duca Lamberti, è Giorgio Scerbanenco a dettare le regole di un gioco letterario, spesso mortale, che diverte ancora oggi. Un gioco, certo, che appassiona alle sorti dei personaggi, ma che, al di là delle trovate ‘ad effetto’, restituisce soprattutto l’aria che tira in quegli anni nella capitale del boom economico. La Milano delle pagine di Scerbanenco è una Milano fino ad allora sconosciuta o taciuta. Una città che, in preda alla frenesia del “miracolo” produttivo, offre storie di sconfitta, marginalità e perversione, celando dietro il diffuso benessere un animo ancora malsano, spesso innamorato di un’immagine distorta di rivalsa. È la Milano dei Sessanta-Settanta, quella delle batterie violente di rapinatori, i duristi, quella di Vallanzasca e Turatello, quella delle bische, della prostituzione, dei sequestri e di una rabbia che spesso preferisce il carcere alla catena di montaggio. È soprattutto la Milano che perde progressivamente l’innocenza popolare, quasi paesana, del dopoguerra. L’animo quasi poetico della ligera, della ‘romantica’ malavita di quartiere, è sempre più soffocato dal suono delle pistole, dalla sete inestinguibile di soldi e potere. Una Milano in cui il crimine si fa progressivamente sistema, nemico giurato delle forze dell’ordine, immortalato per sempre da film ormai di culto. Pellicole come “Banditi a Milano” e “Milano calibro 9” riecheggiano le gesta della famigerata Banda Cavallero quanto le pagine nere di Scerbanenco, iniziando un filone tutto italiano che, dai tumultuosi anni Settanta, scorterà la Madonnina fino al rampantismo criminale degli Ottanta. Una Milano da bere (ma anche da drogare, comprare, corrompere) che torna prepotente nelle pagine della scuola dei “milanesi” di oggi. Così la “Città Rossa” dove Roversi ambienta i sogni terribili di Roberto Vandelli (il non-Vallanzasca di “Solo il tempo di morire”) ricorda da vicino l’industriosa capitale dell’illecito che Simone Sarasso ci regala nell’ultimo capitolo della sua trilogia sporca dell’Italia, “Il Paese che amo”. Una Milano amante dell’aperitivo e del compromesso, delle mazzette e dell’arroganza, attraversata da attori, politici, imprenditori, faccendieri e criminali ripuliti. Una Milano marcia che non smette d’ispirare e raccontarsi, anche dopo Tangentopoli e l’apparente fine di un regime, aprendosi definitivamente a nuove e vecchie mafie, trovando ancora una volta nel noir il suo specchio più fedele, il suo riflesso più cinico e sincero. Così, mentre Sarti Antonio continua a perlustrare Bologna e Montalbano fa le sue prime apparizioni nell’immaginaria Vigata, la scuola meneghina non si fa pregare. È la voce originale e dissacrante di Andrea Pinketts a rispondere alla perdita di senso d’inizio anni Novanta. Una voce prontamente seguita ed affiancata da nuovi, potenti autori come Piero Colaprico che, dal “Sequestro alla milanese” alla “Trilogia della città di M.”, si fa interprete del decennio, traghettando il lettore da Mani Pulite fino all’alba di un nuovo millennio sconosciuto, inafferrabile, senza altra certezza che il crimine. Mentre “Romanzo Criminale” di de Cataldo regala a Roma l’inizio folgorante di un racconto epico sulla capitale, la Madonnina si presenta nelle pagine buie, elettriche, folgoranti, di autori come Giuseppe Genna (“Catrame” e “Grande Madre Rossa”) e Gianni Biondillo (“Per cosa si uccide”). Quella che si affaccia ai Duemila sembra una città sospesa nel tempo, rincorsa dai fantasmi del passato, assediata dalle sue molte identità e pronta ad esplodere, come sull’orlo di un ultima, definitiva crisi di nervi. Un collasso istituzionale, sociale ed infine morale che sembra poter travolgere tutto e tutti e che, puntualmente, lo fa. È così che la Milano di Genna, immobile ed ammutolita dall’esplosione del palazzo di Giustizia, può diventare la Milano livida, impersonale, dell’immaginazione distopica di Alan D. Altieri (”Hellzone”), per poi tornare ad occuparsi dei suoi nuovi universi criminali ed immorali, con autori recenti come Romano De Marco (“Milano a mano armata”) o Ferdinando Pastori (“Rosso Bastardo”). È qui, nel nauseabondo incrocio tra crimine organizzato e liquefazione morale, che la Milano di oggi può ritrovarsi. Qui, tra le pagine di nuovi e promettenti scrittori, come Alessandro Bongiorni (“Niente è mai acqua Passata”), la capitale nera d’Italia può ancora una volta raccontarsi, confessarsi ed espiare i propri delitti, alla costante ricerca di una redenzione che si annuncia nella bellezza dei vicoli storici ma che tarda ad arrivare. È qui, dunque, che le nuove voci del noir italiano e meneghino continuano il loro personale interrogatorio con la metropoli, ultimi eredi di una tradizione nera e vitale, in grado di raccontare il passato ed il presente di un Paese difficile e di una città che ne incarna gli estremi. “I milanesi ammazzano al sabato”, sosteneva Scerbanenco.
Per nostra fortuna, durante il resto della settimana, scrivono.

Andrea Rosselli

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