Non mi piace scrivere di me stesso. Intervista a Piernicola Silvis – Storia di una figlia

In libreria con Storia di una figlia, Sem Editore, Piernicola Silvis ha gentilmente acconsentito a rispondere a qualche nostra domanda.

L’esperienza che non diviene necessariamente narrazione ed il proprio lavoro che non diventa il mero svolgimento del tema “parlami di te”: qual è il balzo verso la pura creazione narrativa, svincolata dal proprio vissuto e dall’agiografico autobiografismo?
Domanda interessante, perché mi appartiene. L’unica volta in cui ho parlato di me è stato ne “L’ultimo indizio”, dove si narrava l’operazione che ci portò, il 6 settembre del ’92, alla cattura di Piddu Madonia. Me lo chiese l’editore Fazi, ma non mi piacque scrivere di me, sentivo di violare la mia intimità. In realtà amo parlare di altri, di personaggi inventati, anche se inevitabilmente dentro ognuno c’è sempre qualcosa dell’autore, è inevitabile. So bene che la maggior parte degli aspiranti scrittori amano descrivere la propria vita in modo più o meno autobiografico. Ma la passione per i film e i romanzi thriller, che ho da quando ero piccolo, ha fatto sì che nella mia mente i protagonisti fossero persone diverse da me. Forse per un trasfert che mi porta a inventare “altri me stesso” che considero migliori e più riusciti? Può essere, non lo so. la mia intimità e la mia privacy sono fondamentali, soffrirei a rivelarla, come è successo ne “L’ultimo indizio.”

La terra pugliese ha un proprio considerevole palmares narrativo, da Omar Di Monopoli, passando per Donato Carrisi, fino a Gianrico Carofiglio. Cosa si nasconde tra gli strapiombi delle scogliere e gli anfratti delle Murge per far sì che tante penne siano cariche di inchiostro scarlatto?
In effetti è vero, oggi a livello letterario la Puglia domina. Aggiungerei ai nomi fatti anche quelli di Nicola Lagioia, Mario Desiati, Giancarlo De Cataldo, Gabriella Genisi… In realtà non so, forse perché la Puglia, dietro le sue coste, i trulli, padre Pio, le mozzarelle, ha un vissuto nascosto. Forse perché è un posto in cui la magia della terra di confine convive con la malavita, e questo dà un’importante chiave narrativa a molti autori. Probabilmente c’entra anche l’esplosione turistica e il conseguente arrivo di tanta gente dall’Italia e da fuori… O forse è solo un caso, cosa pur sempre possibile

C’è una colonna sonora che possa essere un ideale accompagnamento per i lavori di Piernicola Silvis? 
C’è sicuramente. Spesso infatti quando scrivo ascolto soundtrack evocative, mi aiutano. Quelle che ascolto di più sono, per le pagine delicate, la colonna sonora di “Un uomo, una donna”, di Francis Lai, mentre per i momenti drammatici quella di “C’era una volta in America”, di Morricone, o alcune di Zimmer, come “Inception”, “Gladiator”, “La sottile linea rossa.”

Come nascono i plot narrativi nei quali poi collochi i tuoi personaggi, spesso socialmente marginalizzati e con i quali il lettore inevitabilmente empatizza?
Nascono quasi senza sforzo. Capita che all’improvviso mi venga un’idea, specie quando sono distratto. Poi sono costretto a segnarla immediatamente in un appunto, altrimenti la dimentico. Se parliamo più in generale, do ascolto alla mia sensibilità, scrivo ciò che mi provoca un’emozione, altrimenti il mio romanzo, come è successo, non va oltre mezza pagina

Dalle divise blu e dalle Beretta di “Formicae”, “La lupa”, “Gli illegali”, alle divise nere e le loro P38 dipinte nel lirico “Storia di una figlia”: cosa ti ha portato negli anni più bui della storia dell’Italia dell’Asse?
Sono uno studioso del nazismo. Da tempo desideravo scrivere una storia per cercare di spiegare, e spiegarmi, come abbia fatto un popolo civile come quello tedesco a trasformarsi nel più incredibile killer della storia dell’umanità. Tuttavia non volevo affrontare il tema attraverso la “Shoa”, argomento storico ben noto e più volte sviscerato, ma intendevo portare alla luce ciò che i nazisti hanno fatto in Italia, 400 stragi e 15.000 civili massacrati gratuitamente e spesso sadicamente. Chi sa che abbiamo avuto un battaglione di SS italiane forte di 20.000 volontari? Nessuno. Nel mio libro questo c’è.

MilanoNera ringrazia Piernicola Silvis per la disponibilità

Giuseppe Calogiuri

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