Piccoli scrittori crescono. “Bello da morire! ” di Silvia Pasolli

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Iniziamo la pubblicazione dei racconti migliori prodotti dai ragazzi dell’Istituto Martino Martini di Mezzolombardo (Trento) nel corso del workshop che si è tenuto a Suzzara il 29 gennaio scorso nell’ambito del festival di letteratura noir Nebbiagialla e tenuto da due insegnanti d’eccezione: Patrizia Debicke van der Noot e Adele Marini
La prima parte, in corsivo, è l’incipit scelto dall’autrice fra i tre proposti.

Bello da morire!

Di Silvia Pasolli
cl 1° A. Istituto Tecnico Economico.

Una corsa pazza nel buio, con il casco integrale calcato sopra i lunghissimi capelli di cui si intravedevano solo alcune ciocche lasciate strategicamente libere sul collo.
Marzia era in ritardo per l’appuntamento con Andrea. Aveva perso più tempo del previsto per convincere i suoi a lasciarla uscire e doveva dare gas se voleva incontrarlo prima che lui entrasse nel locale e la vedesse arrivare in sella al bolide verde.
«Non fare tardi», si era raccomandata la madre. «Domani hai lezione.»
«Solo fino all’una», aveva promesso lei. «Arrivo da Claudia con la moto e poi ci accompagna suo fratello in macchina».
E invece no. Niente fratello, niente macchina.
E, naturalmente, niente Claudia.

La Kawasaki Ninja 300 era stata il regalo per la maturità ottenuta con ottimi voti. Marzia non sarebbe mai scesa dalla sella, ma le condizioni poste dai genitori, a partire dal momento in cui aveva ottenuto la patente, erano state chiare e tassative: piccoli tragitti in paese, fino a quando non sarai davvero esperta.»
«Ma ho la patente!» aveva protestato.
«La patente non dice che sai davvero condurre quel mostro. E, comunque, mai di notte!»
A diciannove anni Marzia era uno scricciolo di ragazza ma in sella alla sua Kawa si sentiva una gigantessa. Le moto erano la sua passione. Avrebbe voluto diventare pilota e correre il Gran Premio come Valentino Rossi, ma qui suo padre era stato categorico: no! La piccola Kawasaki era stata il giusto compromesso per convincerla a iscriversi all’università.
Quella sera, mentre macinava chilometri sulla Provinciale, Marzia era consapevole di violare il patto con i genitori, ma la prospettiva di fare la sua entrata in scena apparendo ad Andrea in sella a quella meraviglia scintillante era stata una tentazione irresistibile.
«Io sarò là dopo le dieci e mezza. Ti aspetto un quarto d’ora per entrare insieme. E’ una festa privata e non saresti ammessa senza di me, » le aveva detto quel pomeriggio sul pullman che li riportava entrambi a casa. E a lei era venuta l’idea di trasgredire alla regola numero uno per farsi ammirare.
Una piccola bravata senza rischi, aveva pensato. Anzitutto non c’era pericolo che la scoprissero, poi la notte era limpida, illuminata da una luna enorme. Poche le auto in circolazione. Al ritorno avrebbe trovato la strada ancora più sgombra e avrebbe potuto spingere a fondo.
Marzia, volando sull’asfalto, sentiva il cuore che cantava.

Marzia aveva la testa tra le nuvole non riusciva a pensare ad altro che ad Andrea, a come si sarebbe vestito, se avesse indossato la felpa rossa che gli stava molto bene. Si domandava se avesse messo quel buonissimo profumo che a lei piaceva tanto e le faceva venire i capogiri solo a sentirlo.
Il viaggio di quasi mezz’ora passò troppo velocemente mentre pensava a lui. Marzia lo aveva ormai capito: non sarebbe riuscita a pensare a nessun altro. Finalmente arrivò al luogo della festa. Andrea le aveva promesso che sarebbe stato fuori ad aspettarla, ma non lo vide.
Non c’era.
Non era li.
Marzia iniziò a immaginare le cose peggiori che sarebbero potute accadergli.
Decise che avrebbe aspettato. Magari era stato vittima di un incidente mentre veniva da lei e adesso era all’ospedale, oppure in quel momento era in compagnia di un’altra ragazza che probabilmente era più carina di lei; o, forse, si era semplicemente dimenticato dell’appuntamento. Pensare a cosa sarebbe potuto accadere ad Andrea la faceva stare solo male. Si sentì salire le lacrime agli occhi. Ma non poteva odiarlo o arrabbiarsi, perché non sapeva cosa gli fosse capitato.
Il tempo passava e Marzia era sempre lì, ad aspettare che Andrea arrivasse, finché un’ora dopo, stanca e arrabbiata, decise che non avrebbe passato tutta la serata fuori dal locale, da sola, ma sarebbe tornata a casa.
Passando dall’entusiasmo e dalla felicità che aveva provato mentre correva da lui, a un misto di tristezza, delusione, rabbia, risalì sulla moto mentre una lacrima le rigava la guancia. A casa, pensò, avrebbe confinato le sue emozioni dietro le parole di uno dei suoi libri.
Marzia amava leggere e divorava qualsiasi cosa. Per lei la lettura equivaleva a rifugiarsi in un secondo mondo in cui esisteva lei e nessuno che la giudicasse, perché il mondo reale, quello in cui viveva, era pieno di gente che sapeva solo giudicare.
Durante il viaggio di ritorno pensò per tutto il tempo a cosa fosse accaduto ad Andrea, ma tra i tanti dubbi solamente uno era nitido e chiaro. Per istinto decise che lo avrebbe ascoltato: non era giusto che mentre lei piangeva lui fosse chissà dove, a fare chissà cosa, con chissà chi.
Fu sull’onda di questi pensieri che prese la decisione di non trascorrere il resto della serata in casa. Si sarebbe divertita, magari non in compagnia, ma da sola, con i suoi pensieri confusi. Quella sarebbe stata una buona occasione per schiarirsi le idee.
Era una calda sera d’estate. Marzia non avrebbe avuto problemi se si fosse fermata da qualche parte a quell’ora. I suoi genitori si sarebbero arrabbiati, ma ormai non avrebbero potuto rimproverarla più di tanto, quindi sarebbe andato tutto bene.
Avrebbe raggiunto ‘la collina’, una cima da cui si poteva vedere l’intera città di Firenze. Dall’alto, lo spettacolo era magnifico. Certo sarebbe potuto essere migliore se ci fosse stato Andrea al suo fianco, ma andava bene anche cosi.

«Dove va una ragazza come te a quest’ora della notte?» le chiese un uomo quando si fermò a un distributore per fare benzina. Era ubriaco, Marzia lo ignorò. Pagò e riparti.
Quando finalmente arrivò in cima alla collina si porse per ammirare il panorama. Era impressionante pensare a quante persone vivessero in quella grande città. Soprattutto era difficile non chiedersi cosa stessero facendo, a cosa pensassero, se avessero una famiglia e come si chiamassero i loro figli. Ma ancora più complicato era non pensare a dove potesse trovarsi in quel momento Andrea ftra tutte quelle persone.
Restò a lungo ad ammirare la città. Mentre cercava di individuare il municipio e il parco in cui giocava da bambina, pensava a quanto fosse incredibile la vita: da piccoli si vuole crescere, diventare grandi, mentre quando si è grandi si vorrebbe tornare bambini. Se fosse stata una bambina sicuramente in quel momento si sarebbe trovata nel suo letto, avrebbe dato la buonanotte alla sua mamma e al papà e sarebbe già stata persa nei suoi sogni di bimba che vuole crescere in fretta.
In quel momento le sembrava che la vita la stesse prendendo in giro: prima dà l’illusione di poter avere tutto, mentre un secondo dopo tutto può cambiare: si perdono i punti di riferimento e le occasioni ci vengono strappate l’una dopo l’altra. Ma “per quanto possa sembrare difficile, la vita è sempre migliore della sua alternativa”. Questa frase l’aveva letta in uno dei suoi libri e in quel momento si adattava ai suoi pensieri contorti.
In cima alla collina, Marzia rifletteva su tutto e, contemporaneamente, su niente. La città, vista a quell’ora, era fantastica: le luci brillavano sparse nel buio. Tuttavia, appena sedette sull’erba e poi si sdraiò, notò che lo spettacolo che aveva appena ammirato non era paragonabile a quello che splendeva sopra la sua testa. Niente, infatti, per quanto ‘bello’ o ‘magnifico’, poteva competere con il cielo interamente coperto di stelle.
Marzia riuscì a individuare il carro maggiore, il carro minore e persino la stella polare, poi lasciò spazio alla sua fervida immaginazione e congiungendo le stelle formò un cuore e la lettera “M”.
Si addormentò persa nella magnificenza del cielo mentre tutti i suoi problemi e i suoi interrogativi svanivano l’uno dopo l’altro.

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