Nuova edizione del Premio Goliarda Sapienza, “Racconti dal Carcere”, cosa ha fatto nascere l’idea di questa iniziativa ormai giunta alla quinta edizione e quali sono le finalità?
Stavo realizzando per Radio3 una puntata su Goliarda Sapienza. Scoprii che a causa di un “incidente di percorso” fu detenuta nel carcere di Rebibbia. Goliarda, intellettuale raffinata, si trovò catapultata all’improvviso in quella realtà così lontana dal suo mondo. Avrebbe potuto non reggere l’impatto, invece, la vita accanto alle altre detenute si trasformò per lei in occasione di conoscenza. Dall’esperienza del carcere nacque “L’Università di Rebibbia”, il primo romanzo che un editore accettò di pubblicare. Fu l’inizio della sua attività letteraria. Mi sono detta che avrebbe potuto rappresentare l’occasione di un nuovo inizio anche per molte altre persone che vivono quella condizione. Ecco, è nato così il Premio letterario “Racconti dal carcere” che ho voluto intitolare a Goliarda Sapienza.
Qual è stata la risposta delle istituzioni ?
Di convinto sostegno. In fondo il Premio rappresenta un esempio concreto di ciò che è sancito dall’art. 27 della nostra Costituzione, vale a dire che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, anche attraverso il lavoro. In questo caso, di lavoro intellettuale.
E’ grazie a Siae, comunque, che da cinque anni abbiamo la possibilità concreta di realizzarlo.
Nelle ultime due edizioni si è aggiunto il contributo di Unicredit.
Esistevano già progetti e corsi di scrittura all’interno delle carceri?
Ne esistevano e ne esistono tuttora, ma hanno prevalentemente carattere locale, cioè finalizzati a singoli istituti. Il Premio Goliarda Sapienza coinvolge tutte le carceri, anche minorili, ed ha il valore aggiunto di abbinare grandi scrittori, artisti e giornalisti nelle vesti di tutor letterari dei detenuti giunti in finale. Abbiamo coinvolto sin dalla prima edizione nomi sono di primissimo piano, uno per tutti, Dacia Maraini, la nostra madrina.
E’ stato difficile coinvolgere i detenuti nel progetto?
Al contrario. A ogni nuova edizione è sempre più elevato il numero dei partecipanti.
Come avviene la scelta dei tutor e in che modo si relazionano agli scrittori?
Il primo anno mi sono rivolta soprattutto a scrittori, artisti e giornalisti amici o che avevo conosciuto nel corso dell’attività radiofonica, poi è diventato una sorta di passa parola. Oggi sono orgogliosa di poter dire che molti personaggi di spicco della cultura partecipino volontariamente al progetto. Il contatto con le persone detenute avviene sia per lettera sia di persona, dentro il carcere.
Agli scrittori viene data qualche indicazione sui temi da trattare? La partecipazione è numerosa? Vi è poi una selezione e in base a quali criteri?
Il bando di concorso fornisce una indicazione di massima che lascia la libertà di raccontare di sé, oppure di un compagno di cella, della vita prima del carcere o dentro la propria cella. Poiché partecipano molti stranieri, ci sono storie che ci portano in luoghi lontani, a contatto con realtà agghiaccianti che ben conosciamo attraverso i media. Ma leggere l’esperienza del singolo individuo scritta di pugno è più coinvolgente, perché è come se la stessi vivendo anche tu assieme all’autore. Quello che in fondo accade leggendo un libro o guardando un film.
C’è un lavoro di correzione e editing? Chi se ne occupa?
L’editing è necessario, anche perché gli autori hanno modo di imparare e di migliorare la propria scrittura. In alcuni casi ci troviamo invece di fronte a veri talenti letterari. L’ultimo caso è quello di un ragazzino ancora minorenne. Il suo Tutor stravede per lui.
Ho letto i racconti della scorsa edizione e la cosa che più mi ha colpito è la lucida analisi, la consapevolezza della propria situazione, delle cause che hanno portato all’errore e in qualche modo anche l’accettazione della condanna. Nessuno cerca pietà o si nasconde dietro fragili paraventi. Nessuna retorica nei racconti, nessuna ricerca di scusanti o attenuanti. Pensa che mettere nero su bianco i propri pensieri e farli conoscere possa essere uno dei passi necessari per allontanarsi dai propri errori e non ripeterli?
Certamente la scrittura è catartica. Quanto alla riabilitazione che può indurre attraverso l’attività di pensiero e di riflessione, credo possa rappresentare una delle componenti del percorso di rieducazione della persona, una delle più incisive, perché la scrittura è vissuta come atto di libertà.
Quali sono stati i riscontri delle varie edizioni?
Molto positivi, a cominciare dai media. Tutti sanno ormai cos’è il Premio Goliarda Sapienza, anche all’estero.
Ha in cantiere altri progetti?
Alcuni sono già in corso d’opera, entrambi realizzati in collaborazione con Rai Fiction. “I corti del Premio Goliarda Sapienza”, è un progetto che riguarda la realizzazione di cortometraggi tratti da racconti finalisti del concorso. Il primo, “Mala Vita”, con Luca Argentero, Francesco Montanari e la regia di Angelo Licata, messo in onda da Rai 3, ha già vinto numerosi premi. Il secondo, “Fuori”, ha come interprete Isabella Ragonese e la regia di Anna Negri. Abbiamo girato alcune scene nel mese di luglio, dentro al carcere femminile di Rebibbia, è stata un’esperienza toccante anche per chi, come me, da un po’ di anni frequenta abitualmente le carceri per andare a conoscere i partecipanti al Premio Goliarda Sapienza. Un altro progetto, dal titolo provvisorio “Web Lab 2.0”, riguarda la realizzazione di una web-serie con un gruppo di giovani dell’Istituto di pena minorile Cesare Beccaria di Milano. La regia sarà di Alessandro D’Alatri. I giovani sono coinvolti sia nella fase d’ideazione del soggetto, sia come attori. E’ un lavoro complesso – non si creda che il rapporto con gli adolescenti sia più semplice che con gli adulti – ma estremamente coinvolgente, una sfida direi.