Racconto un pezzo di Roma contemporanea – Intervista a Fabrizio Roncone – Il potere di uccidere

Uno, due, tre: Marco Paraldi, e abbiamo scoperto che non finisce qui!
Il potere di uccidere” (Marsilio editori) è il terzo romanzo di Fabrizio Roncone che è il ventriloquo del suo protagonista Marco Paraldi, ex giornalista divenuto vinaio per vocazione che superando i fantasmi di un passato burrascoso grazie all’esperienza del cronista di nera, decide suo malgrado di arrabattarsi per i vicoli del crimine romano con il gusto di risolvere i misteri che gli franano addosso. 

Dopo “La paura ti trova” (Rizzoli), e “Non farmi male” (Marsilio), Marco Paraldi si trova adesso a indagare sulla misteriosa sparizione di un giovane ragazzo, autista di un onorevole corrotto e senza scrupoli, regalandoci uno spaccato vivido e trasversale della città eterna per antonomasia, dove l’opulenza dell’arte e l’immortalità della storia fanno da calderone ai vizi capitali di sempre.

Nella narrazione di Roncone ricettatori, strozzini, spacciatori e papponi fanno da contorno a una classe dirigente senza possibilità di redenzione, tronfia e depredata da ogni ideale, dove l’onestà è solo vocabolo esuberante nel deserto cinico della corsa al potere.

Molti i temi trattati in questo piccolo capolavoro, dalla caduta degli dei che è seguita a Mani Pulite, aprendo il varco a una classe dirigente senza alcuna preparazione, al problema del crimine metropolitano che oggi come ieri ben si rifiuta di sgomberare dalle nostre preoccupazioni. Non è solo la denuncia di una criminalità organizzata che gestisce spaccio, prostituzione, ricettazione, usura ed ogni nuova sponda tecnologica, ma anche l’accusa di emergenti fenomeni di violenza gratuita come il rigurgito neo fascista di alcune frange criminali, protagoniste di episodi di violenza efferata contro le categorie più deboli. E così compaiono comprimari dai soprannomi eloquenti: De Gregori e Ungaretti, due senzatetto dal passato strappalacrime, sono il ritratto della crudeltà gratuita di una società sempre più arrivista e intollerante che non perdona le fragilità e le condanna ad una sofferenza sotto traccia, destinate a divenire la facile preda di barbarie disumane.


Il neorealismo e il Pasolini di Accattone e Mamma Roma – gli chiediamo – hanno raffigurato una Roma criminale tradizionale e un po’ oleografica che in seguito si è evoluta nella Grande Bellezza, ma pochi hanno descritto la Roma criminale del sottobosco della politica. Pensa che questo sia un nuovo di avere aperto un filone letterario?

Non credo di aver aperto un filone, semplicemente ho raccontato un pezzo della Roma contemporanea. In questo libro in particolare, ho raccontato una città trasversale che va direttamente dalla periferia ai palazzi del potere, dove si fa politica.
Il motivo è che oggi il romanzo giallo e, nel mio caso il noir, sono il vero romanzo popolare di questo paese. La letteratura classica ha rinunciato per motivi misteriosi a raccontare la realtà di come vanno le cose: se tra cinquant’anni qualcuno volesse avere uno spaccato sociale dell’Italia attuale, dovrebbe leggersi un libro giallo, e non a caso ci sono gialli ambientati in Sicilia, in Puglia, a Roma, a Firenze, a Milano. I personaggi che inserisco nei miei romanzi sono reali, a partire dal parlato, persone che veramente esistono nella Roma che descrivo, a cui ho cambiato nomi e fisionomia, ma non la sostanza, anche i negozi sono veri. Racconto quel che vedo e ciò che sento, e in questo modo la forma narrativa mi lascia il margine di libertà per poter raccontare delle realtà senza il bisogno di provarle, a differenza di quanto avviene per il giornale dove l’onere della prova è un limite che spesso non ti lascia raccontare quello che sai ma che non puoi provare».

Serpeggia nella Milano intellettuale quel che nel tuo libro hai fatto emergere, ossia la mancata rivoluzione di Colombo, Davigo e Di Pietro. Quali sono le conseguenze di una Mani Pulite incompiuta che stiamo tuttora pagando oggi?

Le rivoluzioni non si fanno mai a metà. Il risultato è che oggi la bouvette di Montecitorio sembra l’uscita di una Metropolitana, con gente capitata lì per caso. Una volta i politici, seppur corrotti, avevano comunque una preparazione e, pur rubando alla cosa pubblica, pensavano ogni tanto anche al bene dei cittadini. Adesso invece si è tutto ribaltato: la preparazione non è più considerata come la base di partenza per gestire la cosa pubblica, bensì come un ostacolo. Il disinteresse per la collettività sommato all’interesse esclusivo per la poltrona, con l’idea che si possa fare il ministro senza possedere né titoli né competenza, ha portato all’attuale sfacelo.

Il suo modo di scrivere è accattivante, efficace, semplice e diretto. Quanto il lavoro giornalistico influenza il suo stile di scrittura?

Molto. Mi piace l’idea che la storia abbia un ritmo e che sia viva, che il lettore non debba perdersi il filo del discorso. Faccio un esempio: nel mio romanzo Non farmi male parlo di una ragazza sfruttata in un call center con i genitori che sono vittima degli usurai. Temi come sfruttamento del lavoro o l’usura, sono pezzi di realtà che non vengono mai raccontati e che solo il giallo ti consente di affrontare.

L’intensa caratterizzazione di ogni personaggio, degna di un maestro del rango di Camilleri, rende unico il suo modo di raccontarli. Quanto Simenon c’è nel suo modo di scrivere e a quali altri maestri si ispira il suo  modo di raccontare?

Io penso che oggi il più bravo che ci sia (non parlo degli italiani per non fare un torto a nessuno) sia Don Winslow, accanto a James Ellroy ed Elmore Leonard

Quanto Marco Paraldi è suo parente?

Non mi è parente, ma mi sta molto simpatico, perchè in una società di vincenti e di performanti, una società cinica per destino (in realtà di gente piena di complessi), mi fa molta simpatia chi ammette le proprie fragilità.

La bella notizia è che, non trattandosi di una trilogia, avremo ancora modo (spero presto) di leggere nuovi episodi del nostro eroe dimezzato, incontrando ancora il coro dei personaggi che assieme a lui hanno reso unico questo romanzo. Un coro che continua a farti eco per intere giornate col suo vissuto e con la sua parlata viva, come i due senzatetto De Gregori e Ungaretti, il Muto capo dei servizi segreti, Biancaneve lo spacciatore e Dobermann il pugile criminale, Marika la coatta, e gli amici di sempre: l’avvocato, Picasso, Bamba e Chicca. 

Ma, soprattutto, potremmo ancora divertirci a sentire il ritornello di Fidel, il simpatico pappagallo di Paraldi che in questo momento ci sta congedando con un romanissimo: «sti cazzi!».

La foto di Fabrizio Roncone è di @Claudio Guaitoli
MilanoNera ringrazia Fabrizio Roncone per la disponibilità

Silvia Alonso

Potrebbero interessarti anche...