Sabotaggio – Arturo Pérez-Reverte



Arturo Pérez-Reverte
Sabotaggio
Rizzoli
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Arturo Pérez-Reverte, colto bestsellerista tradotto in 40 lingue, si definisce “un cantastorie, non un artista”.  Si può non essere d’accordo sulla seconda affermazione, ma la prima è del tutto condivisibile, dal momento che Pérez-Reverte  ha saputo toccare, con penna felice e indubbio successo, tutti i registri narrativi: dal romanzo storico all’avventura, dal sentimentale al mistery, dal thriller al noir, senza trascurare il paranormale.
E che dire della spy story? Solo confermare quanto sopra: la trilogia di Lorenzo Falcó, ex trafficante d’armi, donnaiolo, spia franchista, ci immerge negli anni della guerra civile spagnola con credibilità, suggestione e ritmo trascinante, presentandoli, per sua stessa ammissione, da un punto di vista politicamente non corretto. Pérez-Reverte infatti, quando parla di torture e omicidi non espone teorie fantasiose ma attinge ai suoi ricordi di corrispondente di guerra che “ha vissuto queste cose di prima mano, da vicino”.  
E, Lorenzo Falcó, l’ha creato franchista perché “stanco di eroi dalla parte dei repubblicani”. Visto poi che ”nei romanzi attuali in Spagna i protagonisti, oltre che repubblicani, sono femministi”, Falcó invece è maschilista e per lui le donne sono prede. 
Sabotaggio (Rizzoli, Collana Scala stranieri, pagg.400, ottobre 2020) conclude la trilogia di Falcó, iniziata con Il codice dello Scorpione (Rizzoli, 2017) e proseguita ne L’ultima carta è la morte (Rizzoli, 2018). 
In questo ultimo capitolo l’Ammiraglio, suo diretto superiore e capo dello SNIO, il Servicio Nacional de Información y Operaciones, lo invia a Parigi con una doppia missione: screditare Léo Bayard, intellettuale comunista ed eroe aviatore a sostegno del Fronte Popolare spagnolo, e danneggiare il dipinto celebrativo che Pablo Picasso sta ultimando per il padiglione della Repubblica spagnola, all’esposizione universale del 1937. Imperativo categorico: celare la propria identità sotto le attraenti sembianze di Ignacio Gazán, ricco possidente spagnolo che vive a L’Avana, e impedire che le sue azioni possano essere ascritte al partito franchista. Inutile dire che Lorenzo Falcó porterà a termine il funambolico incarico con pieno successo, riuscendo a imputare ad altri la lunga scia di sangue che ne deriva.
Sullo sfondo di una Parigi intellettuale e glamour che non sembra risentire troppo dei funesti echi di guerra che arrivano dalla confinante Spagna, né delle cupe nuvole che vanno addensandosi sopra i cieli d’Europa, Lorenzo Falcó si muove con l’eleganza di un dandy e lo spietato cinismo del sicario di professione. Spia alla maniera del primo James Bond di Fleming e non certo dei supereroi tecnologici che lo hanno seguito, uccide “senza troppi drammi né complicazioni filosofiche”, abile esecutore di quella “catena di azioni tecniche che la sua natura morale, il suo carattere e la sua visione della vita gli consentono di affrontare senza scrupoli né rimorsi”. Avido di pericolo che gli “inietta una lucida felicità”, cacciatore spietato perché privo di affetti, che lui considera alla stregua di una malattia. Cammina, Lorenzo Falcó, come “un antico guerriero sotto un cielo privo di dei,pronto al combattimento, senza avere bisogno di nulla e di nessuno”. Non certo delle donne che lui dimentica con “fredda rapidità” dopo essersele portate a letto. Tutte, tranne una: Eva Neretva, agente dei servizi segreti sovietici, coprotagonista de L’ultima carta è la morte, che non riesce a togliersi dalla mente, e forse dal cuore, perché appartiene a una tipologia femminile del tutto singolare, le nuove eroine del secolo, quelle che fanno “cose che non hanno mai fatto prima, e le affrontano con più disciplina, con più fede, perfino con più crudeltà degli stessi uomini”.  
Oltre a una trama ben congegnata e ricca di colpi di scena che si succedono a ritmo incalzante orchestrati dalla consueta abilità di Pérez-Reverte, personaggi e atmosfere rappresentano altrettanti punti di forza di Sabotaggio. La galleria dei protagonisti è affollata di fisionomie e caratteri vividamente modellati. Alcuni sono ispirati a personalità dell’epoca: Léo Bayard, languido ed elegante, “un vanitoso irresponsabile affascinato dall’azione”, che rimanda ad André Malraux, scrittore e uomo politico francese; la bellissima compagna di Bayard, Edith Mayo, ex modella di riviste patinate, ora fotografa surreal-transessualista, dietro la quale si può riconoscere Lee Miller e il suo amore bruciante per Man Ray; il giornalista e scrittore nordamericano Gatewood, alto, trasandato e fanfarone, che fa il verso a Hemingway. Irresistibili i camei di Pablo Picasso, con acume immortalato in un atteggiamento di “sdegnosa sufficienza, di uno abituato a essere, da quasi tre decenni, oggetto della venerazione altrui”, e di Marlene Dietrich che si guarda intorno ”distante, accettando con artificiale naturalezza l’omaggio delle decine di sguardi rivolti a lei”. Non meno brillanti però sono i personaggi di pura invenzione, dalla selva di spie di varia nazionalità su cui spiccano il comandante Verdier, responsabile della Cagoule parigina, e Pavel Kovalenko, capo dei servizi segreti sovietici in Spagna, a Toni Acajou, proprietario di club impeccabili e tranquilli dal “dente d’oro che brilla in un sorriso triste”, fino a Maria Onitsha, la star del club Mauvaises Filles, dal “profumo di carne forte, densa”.
Luoghi e atmosfere sono resi con altrettanto colore, dal mare argenteo di Biarritz sotto la luna calante, a San Sebastían cosmopolita ed elegante, a Parigi che ospita “gli infelici resti di tutti i naufraghi dell’Europa, senza mezzi, senza passaporto e senza futuro”, eppure per la quale “qualunque guerra era a mille chilometri da lì”. Parigi dell’Hotel Madison e del ristorante Michaud, di Montparnasse e della Rive Gauche, degli intellettuali e delle spie. Parigi avvolta da tenebre, “favorevoli al crimine e al peccato”, che però la fanno assomigliare a tutte le città in guerra. Parigi dell’esposizione universale, con il padiglione tedesco e quello sovietico ai lati della Tour Eiffel, “due totalitarismi uno di fronte all’altro”. 
Un romanzo brillante che si legge con avidità, una spy story all’antica che rimanda al miglior Gérard de Villiers, un sipario strappato su molti interrogativi della storia europea. 

Giusy Giulianini

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