Il paese che amo

Domani esce in tutte le librerie il nuovo romanzo di Simone Sarasso, Il paese che amo (Marsilio). Milanonera lo ha intervistato.

Con il Paese che amo si conclude la trilogia sporca dell’Italia. Come e quando è maturata l’idea di scrivere questa saga?

L’idea comincia ad avere qualche anno sulle spalle: quasi dieci. Dieci anni fa leggevo Ellroy, De Cataldo, Evangelisti, Genna, i Wu Ming e continuava a ronzarmi in testa l’idea balzana che ci fosse spazio per un’indagine approfondita dei Misteri Italiani. Così mi imbarcai nell’impresa, mosso da una spinta duplice: la mia coscienza civile da un lato, che voleva che quelle storie, le storie atroci di un Paese sanguinante fin dagli albori della Repubblica, fossero raccontate ancora e ancora. E la mia ossessione di storico dall’altro, che mi spinse a calarmi tra le pile di documenti, a cercare le piste da seguire. Io non avevo idea che ci sarebbero voluti tre romanzi per arrivare in fondo a questa storia. Ma ho scoperto che, nel Belpaese, le ombre sono davvero di più delle luci.

Cosa dobbiamo aspettarci da questa ultima parte della storia?
Come sempre azione e colpi di scena, a farcire il lato oscuro della storia patria. Ma il vero pezzo forte di questo terzo volume, credo che siano i personaggi: un giudice, una spia, un mafioso, il segretario del Partito Socialista e una pornostar che diventerà parlamentare.

Puoi trarre un bilancio da questa esperienza?
E’ stata una lunga cavalcata, e molte storie spiacevoli sono venute a galla. Ho frugato nelle viscere della nazione e non posso dire di esserne uscito pulito. Le storie lasciano un segno, quando si passa così tanto tempo gomito a gomito con le proprie ossessioni – specie quando si tatta di ossessioni “nazionali” – è inevitabile sentire la pressione sul petto a ogni pagina. Ma se mi chiedi se ne è valsa la pena perdere il sonno sui documenti, la risposta è sì. E so che rifarei tutto da capo.

L’Italia ne esce a pezzi da questa tua ricostruzione. Fiction o realtà?
L’Italia cade a pezzi dagli albori della prima Repubblica. Io non ho fatto altro che narrare la decadenza passo passo, iniettando finzione laddove la storiografia (o la giurisprudenza) non potevano fornire alcuna verità.
Il mio racconto si conclude nel 1994. Ma a quanto pare c’è ancora parecchio da raccontare.

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