Silvio Soldini
Durante gli Incontri cinematografici italo-svizzeri di Stresa, Silvio Soldini ha ricevuto il premio "Cigno d'Oro 2008" e ha incontrato Whiteside.
Si considera un regista svizzero o italiano o un regista tout court, perché?
Mi considero italiano perché sono nato in Italia, a Milano, ma non totalmente italiano perché ho anche il passaporto svizzero. In Svizzera non ho mai vissuto, invece ho trascorso un periodo negli Stati Uniti.
Professionalmente non sento di appartenere totalmente alla tradizione di cinema italiano.
Oltre alla regia svolge qualche altra attività professionale?
Faccio qualche docenza e il padre di famiglia.
Favorevole o contrario alle scuole di cinema?
Favorevole, ho realizzato un corso di documentari, coordinato da Bruno Oliviero, allo IED di Venezia. Ho cercato di mettere in piedi un corso molto pratico dove i ragazzi realizzano delle cose e allenano il proprio sguardo.
Cosa pensa dei festival cinematografici?
Sono una bella vetrina e per il pubblico giovane è un modo di vedere film che altrimenti non vedrebbero. Forse però ce ne sono troppi.
Il film (di un altro) che avrebbe voluto girare?
Alice nelle città di Wim Wenders
e il film (suo) che le ha dato maggiore soddisfazione?
Dal lato pubblicità e incassi, « Pane e tulipani », ma non esiste solo quello. Per fortuna ognuno dei miei film ha avuto motivo di esistere. Da ogni film si impara qualcosa.
Ama leggere? Che cosa legge?
Si, amo leggere. Leggo romanzi e qualche saggio.
Dal romanzo Hier di Agota Kristhof avevo tratto il film « brucio nel vento » del 2002, interamente girato in Svizzera.
La più grande soddisfazione della sua vita?
I miei tre figli.
Come imposta il rapporto con gli attori quando gira un film?
E molto importante il modo di porsi con loro perché gli attori sono esseri umani molto diversi tra loro per esperienza, studi e back-ground. Un buon regista deve trovare il modo di entrare in sintonia con loro.
Fin da quando giravo i primi mediometraggi ho frequentato alcuni corsi tenuti da Dominic De Fazio, sia come uditore ai corsi per attori, che corsi per registi. Ho capito cosa significa trovarsi di fronte alla macchina da presa, sentirsi abbandonati. E importante che il regista spieghi bene che cosa gli attori devono fare, evidenziando le cose negative anche con attori esperti. Bisogna vincere il timore di esprimersi che spesso hanno i registi quando iniziano. Bisogna sempre essere molto chiari. A partire da «Giulia in ottobre » mi sono concentrato molto sulla questione. Prima il mio cinema era più ispirato a Wim Wenders e a Jean-Luc Godard che prendevano gli attori e li utilizzavano così comerano.
In seguito sono rimasto affascinato dallaspetto del cinema americano di costruire i personaggi intorno agli attori, ed ho provato anchio a costruirne nelle commedie.
In ogni film deve esserci una sfida, in « Giorni e nuvole » ho fatto lavorare insieme Margherita Buy e Antonio Albanese, in ruoli insoliti per loro. E stato molto facile girare con Antonio Albanese, fin dallinizio mi ha detto « Mi metto nelle tue mani, dimmi tutto e io lo farò »
Uno degli attori che recita spesso nei suoi film è Giuseppe Battiston
Da Agata e la tempesta in poi, di cui è stato protagonista, Giuseppe Battiston ha lavorato in quasi tutti i miei film. Di lui apprezzo la grande grande capacità di immedesimazione nei personaggi che inizia fin dalla prova costume. Non appena indossa gli abiti di un personaggio studia subito il modo di muoversi che dovrebbe avere. Quando prova le scarpe, chiede di portarle a casa e di indossarle per almeno un paio di settimane prima delle riprese. Con il terrore dei costumisti che temono che le perda.
Qual è il momento più difficile della lavorazione di un film?
Il giorno più difficile è quello che precede linizio delle riprese. Tutto lo stress accumulato viene a galla, per poi dissolversi il giorno successivo.
E come salire su nave, si mollano gli ormeggi e si parte ma bisogna mantenere la rotta giusta.
Si considera un regista svizzero o italiano o un regista tout court, perché?
Mi considero italiano perché sono nato in Italia, a Milano, ma non totalmente italiano perché ho anche il passaporto svizzero. In Svizzera non ho mai vissuto, invece ho trascorso un periodo negli Stati Uniti.
Professionalmente non sento di appartenere totalmente alla tradizione di cinema italiano.
Oltre alla regia svolge qualche altra attività professionale?
Faccio qualche docenza e il padre di famiglia.
Favorevole o contrario alle scuole di cinema?
Favorevole, ho realizzato un corso di documentari, coordinato da Bruno Oliviero, allo IED di Venezia. Ho cercato di mettere in piedi un corso molto pratico dove i ragazzi realizzano delle cose e allenano il proprio sguardo.
Cosa pensa dei festival cinematografici?
Sono una bella vetrina e per il pubblico giovane è un modo di vedere film che altrimenti non vedrebbero. Forse però ce ne sono troppi.
Il film (di un altro) che avrebbe voluto girare?
Alice nelle città di Wim Wenders
e il film (suo) che le ha dato maggiore soddisfazione?
Dal lato pubblicità e incassi, « Pane e tulipani », ma non esiste solo quello. Per fortuna ognuno dei miei film ha avuto motivo di esistere. Da ogni film si impara qualcosa.
Ama leggere? Che cosa legge?
Si, amo leggere. Leggo romanzi e qualche saggio.
Dal romanzo Hier di Agota Kristhof avevo tratto il film « brucio nel vento » del 2002, interamente girato in Svizzera.
La più grande soddisfazione della sua vita?
I miei tre figli.
Come imposta il rapporto con gli attori quando gira un film?
E molto importante il modo di porsi con loro perché gli attori sono esseri umani molto diversi tra loro per esperienza, studi e back-ground. Un buon regista deve trovare il modo di entrare in sintonia con loro.
Fin da quando giravo i primi mediometraggi ho frequentato alcuni corsi tenuti da Dominic De Fazio, sia come uditore ai corsi per attori, che corsi per registi. Ho capito cosa significa trovarsi di fronte alla macchina da presa, sentirsi abbandonati. E importante che il regista spieghi bene che cosa gli attori devono fare, evidenziando le cose negative anche con attori esperti. Bisogna vincere il timore di esprimersi che spesso hanno i registi quando iniziano. Bisogna sempre essere molto chiari. A partire da «Giulia in ottobre » mi sono concentrato molto sulla questione. Prima il mio cinema era più ispirato a Wim Wenders e a Jean-Luc Godard che prendevano gli attori e li utilizzavano così comerano.
In seguito sono rimasto affascinato dallaspetto del cinema americano di costruire i personaggi intorno agli attori, ed ho provato anchio a costruirne nelle commedie.
In ogni film deve esserci una sfida, in « Giorni e nuvole » ho fatto lavorare insieme Margherita Buy e Antonio Albanese, in ruoli insoliti per loro. E stato molto facile girare con Antonio Albanese, fin dallinizio mi ha detto « Mi metto nelle tue mani, dimmi tutto e io lo farò »
Uno degli attori che recita spesso nei suoi film è Giuseppe Battiston
Da Agata e la tempesta in poi, di cui è stato protagonista, Giuseppe Battiston ha lavorato in quasi tutti i miei film. Di lui apprezzo la grande grande capacità di immedesimazione nei personaggi che inizia fin dalla prova costume. Non appena indossa gli abiti di un personaggio studia subito il modo di muoversi che dovrebbe avere. Quando prova le scarpe, chiede di portarle a casa e di indossarle per almeno un paio di settimane prima delle riprese. Con il terrore dei costumisti che temono che le perda.
Qual è il momento più difficile della lavorazione di un film?
Il giorno più difficile è quello che precede linizio delle riprese. Tutto lo stress accumulato viene a galla, per poi dissolversi il giorno successivo.
E come salire su nave, si mollano gli ormeggi e si parte ma bisogna mantenere la rotta giusta.