Ti amo, ti odio, mi manchi



Niamh Greene
Ti amo, ti odio, mi manchi
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Immaginate una vita perfetta. Quella stereotipata tipica dei cliché delle pubblicità. Facciamo i marchi e pensiamo a quel filone della famiglia felice promosso da Mulino Bianco. Dove i risvegli non sanno di umori notturni, i bambini sono esenti da isteria metropolitana e non ci sono mutui capestro da pagare a fine mese. Un appartamento in centro, il fidanzato storico cui vostro padre sogna di consegnarvi lungo una navata di una chiesa nel giorno del vostro matrimonio, un lavoro che permette una vita di agi, un armadio zeppo di scarpe a cinque stelle.

Poi, qualcosa scatta. Un meccanismo inconscio che porta a indossare lenti dalla prospettiva diversa. E il, fino ad allora, bicchiere mezzo pieno comincia a perdere. Svuotandosi delle certezze. Accade a Maggie affetta dalla sindrome del “volli, sempre volli, fortissimamente volli, una vita perfetta”, un paradosso, per chi come lei, ha cercato di infrangere costantemente le regole per raggiungerla. Il prontuario delle ventisette regole auree che siglano l’incipit di ogni capitoletto di Ti amo, Ti odio, Mi manchi, sono una summa di buoni consigli che andrebbero applicati all’interno di ogni relazione. Il bignami di un manuale di self help della fidanzata senza ansie e senza peccato.

Alcune ovvie come “L’apparenza ingana” e “occhio ai lupi vestiti da agnelli”, altre più scaltre come il suggerimento di mentire fino a prova contraria. Menzogne che andranno a incidere negativamente sul ruolo della protagonista che si ritroverà a vivere una vita che non le appartiene (lei cinica donna in carriera sarà catapultata nella realtà di un cottage alle prese con pony imbizzarriti e stalle da ripulire) facendo credere, a chi non la conosce, di essere una quotata artista alla ricerca di se stessa. Solo che è sempre la vita a scegliere per i suoi protagonisti. Accade anche a Meggie che, dopo aver sovvertito la sua esistenza si ritrova innamorata della persona sbagliata. Quella che, secondo il prontuario di regole, bisognerebbe ignorare a prescindere. A cominciare da due figlie indisponenti che vivono nel ricordo idealizzato di una madre morta. Eppure, l’amore scatta ma la razionalizzazione dello stesso avviene quando il castello di bugie crolla. Con tutte le conseguenze del caso.

“Credi nel lieto fine”, recita l’ultimo consiglio, regalato a tutte le lettrici sotto forma di un colpo di scena inaspettato.

Bea Buozzi

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