Trilogia della città di K



Agota Kristof
Trilogia della città di K
Einaudi
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Romanzo molto complesso formato da tre libri che narrano la vita di due persone che crescono ai tempi della guerra nel paese di K, paese presumibilmente dell’est, che a un certo punto devono separarsi… o non sono mai cresciute insieme?
Romanzo contraddittorio, quasi confusionario, che vuole trasmettere l’ambiguità dell’animo umano e la pazzia e lo sbandamento che riscontriamo anche nei giovani d’oggi, ma ambientato tutto però nel periodo della guerra e del dopo guerra.
Si parte con il primo romanzo, Il grande quaderno di cui è appena uscita anche la trasposizione cinematografica, che viene narrato tutto in prima persona plurale. I narratori sono due gemelli di nove anni che vengono lasciati dalla madre alle cure della nonna materna a causa della guerra. La nonna, che in paese viene chiamata la Strega e accusata di aver avvelenato il marito, ha un  carattere acido e scorbutico e tratta malissimo i due bambini che crescono lavorando, studiando come autodidatti ed esercitandosi ad affrontare le prove della vita. Si picchiano tra di loro per riuscire a non sentire il dolore, vogliono sperimentare su loro stessi  le sensazioni provate dalle persone che incontrano, ad esempio far finta di essere ciechi e sordi per imparare cosa voglia dire o persino digiunare per capire il significato di non aver nulla da mangiare.
Passano gli anni e la madre si presenta un giorno a reclamare il suo diritto di riprendersi i figli, ma loro vogliono rimanere con la nonna e durante la discussione, a causa di una bomba lanciata da un aereo, la madre muore nel cortile della casa.
Poco tempo dopo arriva anche il padre a cercare la moglie e quando scopre che è morta, sparisce nuovamente. Nel frattempo i ragazzi perdono anche la nonna e si ritrovano a mandare avanti la casa da soli.
Cinque anni più tardi, il padre si ripresenta alla porta; vuole una mano per oltrepassare il confine. I ragazzi sanno che è un’impresa impossibile, a meno che non si abbia qualcuno disposto a morire facendo da apripista. Decidono così di usare il padre come apripista a sua insaputa.
Arrivati al confine, infatti, mandano avanti il padre che muore mettendo il piede su una mina e mentre uno dei due fratelli torna a casa della nonna, l’altro oltrepassa il confine.
Fin qui la lettura è tranquilla e veloce, grazie alla suddivisione in capitoli molto corti e a una narrazione semplice e lineare, quasi infantile sotto certi versi.
Con il secondo romanzo, La prova, iniziano, diciamo, i problemi.
Intanto scopriamo che il bambino, ormai quindicenne, rimasto si chiama Lucas mentre quello che è partito Klaus. Essendo sempre vissuti come un’unica entità, nei primi tempi di solitudine Lucas cade in depressione, fino a quando un giorno non riesce a farsi forza e affrontare la vita da solo. Inizia a frequentare il curatore, si prende cura di una ragazza madre, Yasmine, e del figlio menomato, Mathias, e frequenta una donna Clara, continuando ad aggiornare il quaderno-diario che aveva iniziato con il fratello.
Quando Lucas parla con i compaesani di suo fratello, nessuno gli crede, pensando che sia una sua invenzione, e questo lo si riscontra anche nei personaggi che nel primo romanzo hanno interagito con entrambi i fratelli. Fatto che se all’inizio porta il lettore quasi a urlare ai personaggi “ma cavolo, se ci hai parlato quando erano piccoli”, a lungo andare fa sorgere il dubbio  che effettivamente le interazioni fossero frutto della fantasia di Lucas che spesso si ritrova preso in dialoghi immaginari col fratello che sappiamo essere scappato. O forse no.
Con il terzo romanzo, La terza menzogna, ogni certezza del lettore cade.
Il romanzo si apre con un Lucas trentenne che sparisce da K perché non riesce a superare il suicidio per impiccagione di Mathias, e il ritorno, vent’anni dopo, di un Klaus cinquantenne che cerca per tutto il paese il fratello e che ogni volta viene scambiato per Lucas. E sembra che le prove che dovrebbero convincere che lui è realmente Klaus invece gli diano torto dimostrando che lui è Lucas presentato sotto falso nome.
Klaus inizia così a raccontare la sua storia, narrata nuovamente in prima persona, ma questa volta singolare, confondendo ulteriormente il lettore e stravolgendo completamente tutti i fatti fino a ora acquisiti.
L’autrice ha la capacità con questa sua opera di giocare alla perfezione con la mente del lettore, che pur trovandosi fino alla metà del secondo romanzo con delle sicurezze in mano, non può non piombare nelle incertezze arrivando a rielaborare i fatti per cercare di capire se ha interpretato  male i fatti o se erano realmente come gli sembrava di averli appresi, trovandosi così sul bordo di un baratro fatto di caos. Un libro che a prima vista può sembrare caotico e sconclusionato, ma che invece ha un sottile filo conduttore dalla prima all’ultima pagina e  che trasmette perfettamente il dualismo della mente e dell’animo umano che possiamo ritrovare anche nel mondo e nei giovani di oggi che si trovano a dover affrontare la relazione quotidiana tra realtà e virtuale.
Un romanzo non propriamente semplice ma di cui consiglio vivamente la lettura.

 

 

Micol Borzatta

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