Un tipo tranquillo



marco vichi
Un tipo tranquillo
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Mario Rossi, una vita da mediano. Ragioniere modello da quarantatrè anni presso una ditta d’imballaggi a Scandicci. Marito fedele (di Gisella), padre (di Simona e Francesco) e nonno esemplare. Una vita senza grandi problemi, né sussulti né scossoni: tutti i giorni a lavoro sempre con lo stesso autobus, la cena consumata in cucina imprecando davanti notizie del Tg2 e poi il pranzo domenicale con figlia separata e nipoti, la collina nel week end e il mare d’estate.

Un’esistenza piatta, abulica, assuefatta, che non ha mai avuto il coraggio di cambiare, anche se da qualche tempo comincia a sentire un senso di smarrimento. Finché: “Minestrone e filetti di pesce”. Le ultime parole della moglie. La scomparsa improvvisa di Lella lo porterà a svegliarsi da un torpore esistenziale che durava da troppo tempo e a uscire per le strade, visitare città che non aveva mai visto, mescolarsi fra la folla, assaporare fantasie forti e pericolose, innamorarsi di donne sbagliate, in poche parole, a vivere. Dopo aver passato una vita intera a “camminare lungo una strada con le righe bianche ai lati, adesso è in mezzo al deserto”, Mario ha davanti a sé un mondo da ricostruire dalla A alla Zeta, è tutto nelle sue mani.

Potrà finalmente fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, andare contro ogni convenzione, uscire dai confini che erano stati previsti per lui. Nessuno potrà più rimproverarlo dicendogli: “Mario, non è da te”. Una trama ossessiva, martellante, quella di Un tipo tranquillo, l’ultimo romanzo di Marco Vichi, il creatore della fortunata saga del Commissario Bordelli (nel 2009 premiato per Morte a Firenze con lo Scerbanenco): un’esplorazione nell’orrore del quotidiano e una fine analisi della banalità dell’origine del male. Perché basta poco per sconvolgere la vita di una persona e trasformarla da vittima in potenziale assassino, perché anche la personalità più insignificante può nascondere un mostro. Un ricordo di morte (quand’era dodicenne, Mario ha assistito, inerte, alla morte di un gattino indifeso) che è presagio di un terribile futuro, che tormenta ancora e che porta il protagonista a convincersi che gli sia piaciuto assistere in qualche modo a quell’evento.

Con uno stile essenziale e leggero, Vichi, racconta il passaggio da una sopravvivenza grigia e insignificante a una vita nera ed emozionante, con una tensione narrativa che sale in progressione proprio come in un crescendo rossiniano (quello che piace tanto al protagonista), fino a un finale sorprendente che suscita nel lettore sentimenti contrastanti, perché tutti, in fondo, abbiamo paura di scoprire che gli altri non sono sempre uguali a come li vogliamo.

francesca colletti

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