Una forma di vita



amélie nothomb
Una forma di vita
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Lo ammetto, non ho mai letto nulla della prolifica scrittrice belga Amélie Nothomb. Apro e leggo le prime righe di Una forma di vita. L’inizio così recita: “Quella mattina ricevetti una lettera diversa dal solito…” Non so spiegare cosa abbiano fatto scattare in me quelle prime righe, ma ho capito che dovevo assolutamente prendere quel libro. Dovevo leggerlo, non potevo aspettare.

Vengo trascinata all’interno del mondo di Amélie Nothomb, quello che non si vede all’esterno, quello privato, fatto di valanghe di lettere che l’autrice riceve tutti i giorni e che lei legge e alle quali molto spesso risponde.

Questa volta la lettera, anzi, le lettere protagoniste sono tutte di un soldato americano di stanza a Bagdad, Melvin Mapple. Quel è la particolarità di Melvin? L’obesità. Problema che affligge molti soldati americani in Iraq. Siamo all’inizio della presidenza Obama, quando sembrava che le truppe avrebbero lasciato l’Iraq nel giro di pochissimo.

Melvin racconta ad Amélie della sua obesità, del fatto che lui non vuole assolutamente dimagrire, si è affezionato al suo grasso, lo considera come una bella donna alla quale ha dato il nome di Sharazàd. Melvin ingrassa ogni giorno di più, tanto che arriva a scrivere: “Ho messo su una famiglia. Sharazàd e io abbiamo avuto un bambino.”

Melvin non vuole tornare a casa perché teme di essere giudicato. Lo confessa ad Amélie, la quale cerca di aiutarlo consigliandogli la body art: fotografare sé stesso e il cibo in ogni momento della giornata.

Ma all’improvviso le lettere cessano di arrivare…

Cos’è successo? Non vi illudete di avere già la risposta. Il finale vi sorprenderà.

chiara perseghin

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