Una morte onorevole – Paolo Roversi



Paolo Roversi
Una morte onorevole
Mondadori
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L’Amish è tornato e con lui il suo trascinante modo di indagare ‘alla vecchia maniera’, utilizzando la sua portentosa memoria eidetica e un mix di deduzioni, osservazioni, inferenze e attenzione alla prossemica senza ricorso alla tecnologia. 

Il secondo caso del commissario Luca Botero, nato dalla poliedrica ‘penna’ di Paolo Roversi, si intitola “Una morte onorevole”, edito da Mondadori, e ha come teatro il lussuoso Savoy di Milano e come vittima eccellente l’onorevole Vincenzo Greco, ivi convenuto per celebrare la fine dell’EXPO e il progetto della nuova tangenziale est esterna di Milano denominata TEEM. 

Ad accompagnarci in un nuovo viaggio investigativo anti-innovazioni tecniche è la squadra Alpha che avevamo conosciuto in “Alla vecchia maniera”. Nel primo capitolo del nuovo romanzo la rivediamo in pompa magna in una memorabile entrata ad effetto nell’esclusivo hotel nonché scena del delitto, sull’onda di reminiscenze scintillanti degli Anni Ottanta. “Ossignore, e adesso questi chi sono?” è la frase che accoglie il giovane Dario Piras abbigliato da Tony Manero, Michele Ferrara pettinato come Elvis Presley, Roberta Cattaneo che sembra la copia di Farrah Fawcett e l’ispettrice Camilla Farina, a suo agio con i jeans a zampa d’elefante e una vaga somiglianza con Lynda Carter di “Wonder woman”.

Il ricorso della polizia a quella che qualcuno indica come un’armata Brancaleone sui generis avviene perché il delitto si verifica in condizioni tecnologicamente mutilate: al buio, a telecamere di sorveglianza disattivate e a cellulari spenti. Una goduria per gli investigatori d’antan della ‘Cortina di ferro’ dotati di macchina fotografica, fax, fotocopiatrice e macchina da scrivere Olivetti. 

Il commissario Luca Botero, smilzo a differenza dei pasciuti individui ritratti dal pittore colombiano evocati dal suo cognome, dà spettacolo di logica anche quando la congerie di ipotesi tra politica, intrighi mafiosi e spaccio di droga, si materializza in un attentato alla sua stessa vita.

L’Amish, retrò ma elegante e fascinoso, appare come il contraltare asciutto di Enrico Radeschi, giornalista-hacker per professione, lanciato, invece, negli orizzonti 6.0 e del deep web. Luca Botero sfrutta, infatti, la sua materia grigia come un ruvido Poirot con l’estro di Sherlock Holmes e con la determinazione a difendere le sue ossessioni di Nero Wolfe, privandosi volutamente di ogni apporto high-tech e mettendosi, quindi, in una condizione limitante. Come quelle che molti illustri maestri del giallo hanno utilizzato per mettere alle strette i propri eroi, in particolar modo attraverso gli enigmi apparentemente impossibili della camera chiusa.

Il mondo narrativo in cui si addentra Botero è la Milano euforica post Expo del 2015, ma pur in questo contesto universale Paolo Roversi consente, appunto, al suo protagonista la visibilità offerta da una pila al posto di lampade alogene, lo rende allergico agli ascensori e reperibile solo a un numero fisso. Questa situazione costrittiva, però, amplifica, anziché ridurre, le opportunità di coinvolgere il lettore, spingendolo a ragionare su più fronti.  

Da una parte, infatti, non solo lo impegna a scoprire il colpevole ma anche a comprendere con quale mezzo, al netto delle sue privazioni digitali, l’Amish arriverà alla soluzione. In contemporanea l’autore stuzzica chi legge a interrogarsi sulle motivazioni umane della grande crisi del suo protagonista. E menziona il raptus successivo a un incidente che in passato stava per spingerlo a gettare ogni apparecchio di ultima generazione fuori dalla finestra se non fosse provvidenzialmente intervenuta la vicina Consuelo, a cui ha invece donato tutta la sua dotazione high tech e che accudisce vita natural durante il suo cane, Duca (forse ispirato a Duca Lamberti, il medico investigatore di Giorgio Scerbanenco?). 

Come ormai siamo abituati a riscontrare nei romanzi gialli di Paolo Roversi, la trama include, a tratti, un secondo binario con focus criminale per rendere la tensione narrativa ancora più avvincente. Ma è dalla sua capacità di seminare indizi e false piste, a cui l’autore e docente di scrittura alla scuola Holden ha recentemente dedicato un saggio, che l’amante del genere trarrà copiosa soddisfazione. 

Molti dialoghi sono esilaranti perché attingono felicemente alla passione atavica per il giallo a cui lo scrittore di origini mantovane radicato a Milano ha dedicato la sua vita. Ogni tanto affiora tra le righe il baluginio di un’ironia agrodolce e rivelatrice. Ed è in questo mood, ben diverso da quello della comunità religiosa da cui trae il suo appellativo, che l’Amish con le basette alla John Belushi ci snocciola alcune frasi che incarnano la sua visione della vita: “Il mondo è pieno di persone socievoli; peccato che rimangano tutte rintanate in casa per non incontrare le altre”. 

Monica Sommacampagna

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