Una volta l’estate



Luigi Annibaldi, Ilaria Palomba
Una volta l’estate
Meridiano Zero
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Romanzo certo impegnativo da leggere, questo “Una volta l’estate” di Luigi Annibaldi e Ilaria Palomba, e piuttosto difficile da recensire senza cadere in qualche banalità, che il libro assolutamente non merita.
Come al solito, facciamo subito chiarezza per gli amici di Milanonera: non si tratta di un “giallo”, né di un noir nel senso più classico del termine.
Qui non ci sono assassini da scoprire, né delitti misteriosi o atmosfere reali da incubo, anche se gli interrogativi angoscianti e gli enigmi da svelare non mancano.
Il mistero, e l’incubo, ci dicono gli autori, stanno dentro di noi, nei meandri della psiche, e derivano quasi sempre da qualche trauma irrisolto. Ogni trauma ne comporterà altri, ci ammonisce il romanzo, in una catena quasi impossibile da spezzare.
In duecentocinquanta pagine circa, che si leggono inevitabilmente d’un fiato anche se meriterebbero di essere più attentamente meditate, si alternano, in un crescendo fra passato e presente, realtà e sogno, gli “interventi” in prima persona dei vari attori, soprattutto di Maya, la protagonista, che si porta dietro, appunto, le sue angosce adolescenziali mai risolte, la tragedia di un padre morto in circostanze tragiche, che si intuiscono ma non sono mai chiaramente specificate, un rapporto difficilissimo con una madre che non saprà mai come impostare il loro rapporto.
Dopo uno choc nell’infanzia che la porterà a chiudersi in se stessa, sino a rimanere muta per anni, Maya sembrerà momentaneamente trovare pace nel suo rapporto con Edoardo, militare di carriera che però ben presto verrà mandato all’estero, in una missione di pace non ben specificata in cui si dovrà a sua volta confrontare con altri incubi, alcuni dei quali terribilmente reali.
Maya, incinta di Edoardo lontano, tornerà così a precipitare nelle sue angosce, spesso sublimate in dense pennellate coloristiche, in cui incontrerà “un’altra da sé”, forse proiezione di quella frazione di male che alberga nel suo animo, come in quello di chiunque di noi, e anche la gravidanza sfocerà in una tragedia.
Il finale lascia finalmente spazio a una qualche speranza di rasserenamento, anche se circondato da un’aura di dolce melanconia.
Che dire? Che il libro è impegnativo da leggere l’abbiamo premesso; aggiungiamo che lo stile è asciutto e spesso molto duro, la scrittura densa, tormentata e suggestiva, e fa balenare anche l’impegno e il tormento di chi scrive, ponendoci interrogativi pesanti sui misteri del destino, della vita e dell’animo umano.
Non per tutti, certamente non lettura d’evasione, ma parecchio interessante e altrettanto coinvolgente.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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