Nel 1980 aveva firmato, insieme con Bernd Eichinger e Herman Weigel, il film Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Adesso il regista tedesco Uli Edel arriva in Italia con La banda Baader Meinhof, nei cinema dal 31 ottobre. Due ore e mezzo di film, senza pause e senza stanchezze, durissimo ma senza eccessi trash, che raccontano dieci anni drammatici della storia tedesca.
La Raf, la Rote Armee Fraktion, è stato il ferocissimo gruppo terroristico che ha tenuto in scacco per anni, dal 1967 (il film racconta fino al 1977), le autorità della Germania federale. In realtà l’azione del gruppo, fondato da Andreas Baader e Gudrun Ensslin, ha subito diverse fasi. All’inizio, il gruppo, la cui “mente” fu la nota giornalista di sinistra Ulrike Meinhof, intendeva soprattutto rispondere con la violenza sia alla durezza della repressione poliziesca contro gli studenti, sia (e soprattutto) alla ferocia della guerra in Vietnam e alla massiccia presenza di basi militari statunitensi in Germania.
Poi la tipica escalation terroristica, con i poliziotti uccisi, le vittime inermi, i rapimenti, le rapine, le vendette, le evasioni violente. Il film si basa su un libro, Der Baader Meinhof Komplex, del giornalista Stefan Aust, direttore del prestigioso settimanale Der Spiegel dal 1994 al 2008. Il libro in realtà è del 1985 e fa una certa impressione che, da 23 anni a questa parte, non siano stati pubblicati studi più aggiornati su questo periodo davvero drammatico della storia occidentale. Fra l’altro il film termina col momento più tragico: per liberare i fondatori della banda, durante il processo, altri terroristi rapirono (e poi uccisero) il presidente della Confindustria, Hanns-Martin Schleyer.
Poiché lo Stato federale non si piegò al ricatto, la Raf chiese aiuto ai terroristi palestinesi che dirottarono un aereo della Lufthansa con 86 passeggeri a bordo, uccisero il pilota, ma non riuscirono a ottenere la liberazione di Baader e compagni. Nella stessa notte in cui i reparti speciali tedeschi liberarono gli ostaggi dell’aereo, Baader, Esslin e altri due compagni tentarono il suicidio (questa è la tesi controversa che il film sposa: altri credono che si trattò di omicidio). Si salvò soltanto Irmgard Möller, che è uscita di prigione nel 1994.
Ulrike Meinhof, forse l’unico personaggio davvero interessante del gruppo (ma il film la dipinge come una lagnosa rivoluzionaria di buona famiglia che non regge neanche a un giorno di isolamento carcerario), era già morta: anche lei si era suicidata (o era stata uccisa?) in carcere, nel maggio 1976, durante il processo.
In Germania, dove si è dibattuto animatamente, l’anno scorso, sul rilascio degli ultimi terroristi incarcerati, il film ha ricevuto critiche severe. A me è parso interessantissimo. Può essere semplicemente che sappia molto meno della storia tedesca di quanto dovrei. Però anche questo è un buon motivo per consigliarlo: dieci anni sono raccontati con grande capacità di sintesi. Resta un po’ di curiosità proprio sulla Meinhof.
In Italia è stata pubblicata una biografia schierata a suo favore, Vita e morte di Ulrike Meinhof, di Mario Krebs (Kaos). Paradossalmente la figlia della Menhof, la giornalista Bettina Röhl, ha invece criticato il film di Edel perché mitizza, a suo parere, i terroristi, e in particolare sua madre (che l’abbandonò). Nulla di più ingiustificato, sostiene. Certo, non ha torto.
Per chi conosce il tedesco, c’è il suo blog: http://bettinaroehl.blogs.com/bettinaroehl.