Intervista a Luca Crovi – L’ombra del campione

41s2eul2mLLDivertente e stuzzicante il tuo L’ombra del campione ispirato dalla figura di Peppino Meazza, il grande calciatore milanese detto anche Balilla che  con gusto saporosamente retro ci riporta a tempi lontani. Ma credo che, nel rispolverare alla grande la bella figura del commissario De Vincenzi, indimenticabile eroe del grande e misconosciuto giallista degli anni trenta, Augusto De Angelis, che  tu abbia molti scopi. E quindi molte saranno le domande.
Quali insanabili ferite aveva lasciato la guerra? E come viveva Milano nel dopo guerra?
La Milano del 1928 che descrivo nel mio romanzo è una città molto dinamica dove il mondo dell’arte (pittura, letteratura, scultura, cinema) in quel momento è attivissimo. La Fiera di Milano era vista come un punto di incontro culturale speciale e le attività letterarie in città erano aumentate (dagli spettacoli a teatro a quelli al cinema ai concerti, alle presentazioni di libri). In quel periodo nasce un nuovo modo di vedere la tecnologia. Non a caso a Milano verranno costruiti i nuovi tram nel 1928 e nel 1930 verrà rifatta la Stazione Centrale che sarà la più moderna d’Italia. Qui il primo Acquario d’Italia e il terzo d’Europa diviene uno dei più visitati e amati al mondo e poco dopo sempre Milano vedrà nascere persino il Planetario inaugurato da Mussolini con tutti gli annessi legati allo studio degli astri e dei pianeti. Milano era una città che era uscita dalla guerra con una grande voglia di riscatto, la gente viveva con poco ma aveva molta inventiva. Era un luogo dove era amatissimo lo sport e vi nascevano spazi per praticare il nuoto, la corsa, l’atletica, il ciclismo, il pugilato che coinvolgevano la comunità e procuravano atleti eccezionali. Si parlava il dialetto e i rapporti fra polizia e criminalità erano diversissimi. Fra la ligera e la madama c’era un codice di rispetto diverso da quello degli anni successivi. Il cambio da li a poco del sistema di polizia in Italia e la nascita dell’Ovra modificheranno tutto.

Sono tempi in cui si sono susseguiti diversi attentati. Tu citi quello terroristico e sanguinoso (quasi una trentina di morti)  di Piazza Giulio Cesare del 1928, attentato a Vittorio Emanuele III in occasione dell’inaugurazione della Fiera Campionaria e decimo anniversario della fine della I Guerra Mondiale. Quanto poteva diventare difficile e pericoloso affrontare la folla allora per chi governava il paese?
Milano per circa un ventennio è stato uno dei luoghi dove sono successi più attentati in Italia. Le bombe spesso esplodevano lungo i binari o davanti ai monumenti a Vittorio Emanuele e persino in Galleria. Furono poche però quelle messe davvero dagli avversari al regime fascista. Si può dire che gli anni che descrivo io sono quelli in cui è nata la strategia della tensione e in cui si è misurato come la paura potesse influenzare la gente. L’attentato a Vittorio Emanuele scosse la città per giorni e Milano si bloccò per i funerali delle vittime di quella bomba in piazza Giulio Cesare come racconto nel mio libro. Le sensazioni di disperazione, rabbia e odio sono registrate precisamente sulle pagine del Corriere della Sera dell’epoca. Sono molto interessanti da leggere anche le reazioni dei paesi stranieri all’evento che venne percepito come un attacco diretto alla civiltà Europea. Milano ha sempre reagito in maniera forte alle tragedie e ci sono molte somiglianze fra quei fatti e quelli successivi di piazza Fontana. Nel mio libro volevo testimoniare una ferita aperta nella memoria nella mia città che non è stata ancora ricucita. E credo che molti adesso visiteranno piazza Giulio Cesare guardandola con altri occhi cosi come credo che molti andranno all’hotel Diana sentendo l’eco dell’esplosione che fece esplodere il teatro sottostante e che io ricordo in “L’ombra del campione”.

Cosa rivendicavano i dinamitardi attentatori?
Gli attentatori nei casi delle bombe di cui mi sono occupato non rivendicarono nulla, la polizia brancolò nel buio, le indagini vennero depistate e le vittime non ebbero giustizia. Lo stesso sistema di polizia modificò il suo agire dopo quei fatti.

IMG_012 (1)Perché Augusto De Angelis ha dovuto subire la censura del fascismo?
De Angelis venne censurato dal fascismo perché era un libero pensatore, non venne perseguitato direttamente per i suoi gialli perché fortunatamente sfuggirono alla censura ma venne avvertito per i suoi scritti giornalistici. Le storie gialle di De Vincenzi esulano da temi politici e sociali espliciti (anche se viene toccato il tema dell’antisemitismo ne ‘Il candeliere a sette fiamme’) ma mettono in luce nello specifico come può nascere il male nell’uomo e come si può indagarlo. Non a caso De Vincenzi è soprannominato il poeta del crimine per il suo atteggiamento etico alle indagini. De Angelis morì per le percosse subite da un fascista ma il pestaggio accade per motivi legati a una donna e alla furia del picchiatore. Come giornalista venne tenuto sottocchio dal regime ma riuscì liberamente a esprimere la sua filosofia del giallo e anzi fu il primo a sostenere che il giallo era “il frutto rosso sangue” dell’epoca che lui stava vivendo.

E che impatto ebbe il fascismo sulla carriera sportiva di Meazza?
Meazza fu costretto a vestire la divisa di una squadra come l’Ambrosiana  che non si poteva più chiamare Internazionale per evitare legami con il marxismo. La maglia non poteva più essere nerazzurra ma doveva essere bianca con un fascio littorio ricamato e una croce rossa simbolo di Milano nel mezzo. I giornali fascisti mitizzarono la figura di Meazza come poi successivamente fecero con quella di Primo Carnera ma entrambi  gli sportivi venero spesso criticati quando il fascismo non li sentì asserviti alla propria campagna di promozione.

Come era organizzata la polizia di allora? E che peso ebbe l’Ovra?
La  polizia dell’epoca non usava praticamente pistole, o la fecava in maniera ridotta, usava poco la macchina e le moto e si muoveva a piedi e in bicicletta. Sul tram pagava il biglietto ai criminali che catturava e aveva un rapporto diretto con gli informatori della ligera (la mala milanese). Cercava di prevenire i furti e gli omicidi con una presenza massiccia sul territorio. L’arrivo dell’Ovra portò al nascere di uno spionaggio sotterraneo che documentava tutto e che spiava tutti. Un sistema burocratico capace di schedare decine di persone e capace spesso di modificare le prove se poteva fare comodo agli inquirenti. Sicuramente la polizia dell’epoca era all’avanguardia e aveva un numero di abili segugi che giravano per Milano e che la conoscevano come le loro tasche. Purtroppo l’intero archivio dei documenti della Questura dell’epoca è andato bruciato poco dopo i devastanti bombardamenti della seconda guerra mondiale. Per evitare danni più ingenti al palazzo di Piazza San Fedele gli stessi vigili del fuoco eliminarono molta della carta a rischio di incendio che era contenuta negli schedari. La polizia di cui parlo io è molto diversa da quella che usò Bava Beccaris assieme all’esercito per sparare sulla folla dei milanesi affamati e indignati. De Vincenzi fa parte di un corpo di polizia che ha un senso di civiltà e di responsabilità davvero speciale.

Ma  ora lasciamo la parte politica e passiamo invece a noi. Milano è una città millenaria, a lungo capitale dell’impero romano. La storia della Gioconda è esaltante e quindi basta solo andare a frugare qua e là  nel passato. Sono sicura che tu ti stai divertendo ad accumulare antichi aneddoti locali. Ci sarà un seguito a questo primo romanzo milanese?
La Gioconda credo sia una delle cose più divertenti e allo stesso tempo umane che io racconto nel mio libro. Un sistema funerario su tram unico al mondo che ebbe vita per molti anni a Milano. In effetti ho aperto una porta sui segreti della mia città che dovrebbe costringermi a scrivere almeno altri due romanzi e a un’antologia di racconti dedicati a quel periodo. Tre racconti sono già usciti quest’’estate sul Giornale e vi consiglio i recuperarli (già dai titoli capirete di cosa parlano “El Negher del Bottonuto”, “Un pescecane all’Arena” e “Quando le gradinate crollano”). Nel prossimo romanzo racconterò il mistero della chiusura dei Naviglii che avvenne per motivi speculativi e non igienici, la costruzione della Stazione Centrale e un mistero legato a un’ altro grande sportivo dell’epoca. Nella storia sucessiva invece credo che ricostruirò altre storie della ligera nelle quali mi sono imbattuto e che sono davvero incredibili. Ho accumulato decine di storie che trovo molto curiose da raccontare. La criminalità era davvero vispa a quell’epoca e compiva crimini originali come quelli del Capitano Nero che racconto.

Tu hai usato nel romanzo molte espressioni dialettali che invece hai dimenticato nei tuoi articoli sul Giornale? Se andrai avanti con De Vincenzi continuerai a servirti del milanese?
Nei racconti non ho usato il milanese perché non era funzionale ai tre fatti di cronaca che ho raccontato e che sono tutti avvenuti per davvero. Tieni presente che faccio sempre in modo che il lettore capisca benissimo quello che scrivo nella lingua di mia nonna e della mia bisnonna e in tre racconti di circa 6500 battute rischiavo di essere frainteso e non compreso se non avevo il tempo di far abituare i lettori a un certo suono. Non ti preoccupare che nel prossimo romanzo di dialetto ce ne sarà e lo userò sempre per dare voce a persone che lo hanno sempre usato. In particolare racconterò la vita di mio nonno che faceva il prestinè e tutte le notti preparava le micche di pane per i milanesi.

E torneranno le malefatte dei “malnatt” della “ligera”?
I malnatt della ligera torneranno anche perché si troveranno a perdere il quartiere del Bottonuto dove per anni avevano agito indisturbati. Il fascismo riuscì infatti a eliminare con l’edilizia e il nuovo piano regolatore della città uno dei quartieri più vecchi di Milano.

Quale era la vita culturale ed edonistica della città in quegli anni?
Gli spettacoli a Milano erano quotidiani, così come le mostre, gli appuntamenti sportivi, le performance musicali (io racconto il primo concerto di Segovia), le performance artistiche ma anche le gare di tiro al piccione, i fuochi artificiali e persino e le evoluzioni di dirigibili e mongolfiere. La Milano degli Anni Venti e Trenta sembra per certi versi uscita da un romanzo di Jules Verne. Ed è una città che sarà il palcoscenico speciale delle canzoni di Giovanni D’Anzi, una città moderna ma dal cuore antichissimo.

Se potessi fare un viaggetto nel tempo (con andata e ritorno garantiti) dove  e in quale occasione sceglieresti di tornare?
Onestamente se dovessi tornare indietro nel tempo mi piacerebbe vedere l’arrivo a Milano di mio nonno dal paese di Aviano dove viveva con i suoi fratelli e vedere come da ragazzino che scaricava le cassette di frutta ai mercati generali è riuscito a imparare il mestiere del panettiere e poi quello del pasticciere. Mi manca tantissimo il profumo ma anche il sapore dei panettoni che gli vedevo confezionare allo stabilimento Milady, anni dopo, dolci speciali che venivano spesso inscatolati su Commissione delle Tre Marie.

Quale influenza hanno avuto i tuoi affetti familiari nel voler far rivivere certe abitudini e certi quartieri della Milano di allora?
Il libro è dedicato alla mia bisnonna che è anche un personaggio inserito nel libro, ma ci sono anche le memorie dei miei prozii e dei miei nonni mescolate con qualche ricordo dei miei vicini di casa. “La nostalgia del Milan” che cito all’inizio del libro fa davvero da colonna sonora a tutta la storia così come l’immaginario del “Milanin Milanon” di Emilio De Marchi.

In quale quartiere della Milano di oggi si possono ritrovare le tracce di allora?
Beh, devo dirvi che la zona di Via Fauchè dove vivo ha molto della Milano dell’epoca, così come l’area ritrovata di piazza Giulio Cesare che ora da sul City Life. Ma anche corso san Gottardo, le colonne di San Lorenzo, il parco Sempione, l’Acquario Civico, e il planetario sono poco cambiati. E penso che se uno chiude gli occhi dentro la Stazione Centrale e poi li riapre per guardarla si accorgerà di quanto è rimasto ancora di quell’epoca sia dentro che fuori. Per non dirvi che la casa in via Massena di De Vincenzi esiste davvero… avete presente dov’è la sede di Radio Deejay, allora guardatevi intorno e ditemi qual’è se la individuate. Non l’ho ideata io, l’aveva immaginata De Angelis ed esiste davvero. E devo dirvi che quando l’ho vista con tanto di portineria anch’io sono rimasto a bocca aperta. E se volete farvi un regalo e riscoprire la Milano degli Anni Venti e Trenta vi basta fare un giro sui tram 1928 in legno che vi permettono di attraversarla ancora sui Navigli e lungo le due circonvallazioni. Vi stupirà sapere che molti dei percorsi che vengono fatti oggi su rotaia erano già attivi all’epoca e toccavano gli stessi punti della città.

MilanoNera ringrazia Luca Crovi per la disponibilità
Qui la recensione a L’ombra del campione

Patrizia Debicke

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