Intervista a Biagio Proietti, ospite a Paura Sotto la pelle. Bologna 1/2 dicembre

Biagio Proietti, leggendaria figura di sceneggiatore per la televisione e per il cinema, quanto a fiction (all’epoca si chiamavano sceneggiati) ha scritto la storia della televisione italiana degli anni ’70 e ’80, anzi lui è la storia della televisione italiana di quegli anni, cui tra l’altro ha dedicato con Maurizio Gianotti un illuminante saggio dal titolo Il segno del telecomando (2015, Rai Eri) che ripercorre sessant’anni di ‘racconto’ Rai.
Mi accosto a lui con autentica venerazione, inculcata prima dalla passione di mia madre per quelle sue opere e maturata poi in me quando ho potuto gustarle attraverso i relativi DVD.
Dr. Proietti, innanzitutto grazie di aver accettato l’invito a essere protagonista del nostro imminente evento ‘Paura sotto la pelle’, nella sessione dedicata alla sceneggiatura.
Inizio proprio da qui, chiedendole: che cosa ha suscitato la sua curiosità per un evento dedicato alla trasmissione della paura, attraverso le parole e le immagini?
Io amo la paura e naturalmente ho paura della paura. Ma che cos’è la paura? Solo orrore per qualcosa che qualcun altro descrive oppure ti mostra in un film o in una fiction? La paura è solo orrore? Io credo, sin da bambino quindi molti anni fa, che la paura sia un sentimento, sotto pelle come giustamente avete messo nel titolo, che spesso si prova senza sapere da che cosa è suscitata e verso chi o quale cosa si sta provando. Tutti dicono di aver paura del buio ma perché si prova? Forse perché nel buio puoi vedere solo te stesso, forse perché sei solo, forse perché tutto potrebbe accadere e tu non saresti in grado di difenderti. Io credo che per avere paura basti la nostra fantasia: io spesso immagino situazioni pericolose che potrebbero accadermi, soffrendo di vertigini tipo cadere dalle scale e rompermi l’osso del collo, alla fine penso che il vero mostro, di cui temiamo di vedere le orrende sembianze, non è altro che l’immagine di noi stessi. Non a caso la leggenda racconta che si muore quando ti trovi di fronte il tuo doppio. Da quanto ho detto, si comprende perché ho detto subito sì al vostro invito.

Uno dei suoi miti nel panorama della narrativa di paura è Edgar Allan Poe, il grande maestro della detective fiction del quale lei sempre ha celebrato “la capacità di portarci fino all’orlo dell’abisso, incapaci di resistere, attratti dal demone della perversità”.
E’ dunque questo “demone della perversità?” ad attrarci così inesorabilmente verso la narrativa e il cinema di paura?
Il demone della perversità è un elemento fondamentale nella vita di ognuno di noi, condiziona le nostre scelte non solo in fatto di cosa leggere e di cosa vedere ma anche per quelle esistenziali, profonde, determinanti per la nostra vita. Speso siamo spinti a spingerci fino all’orlo del precipizio per provare a immaginare il piacere di cadervi dentro, di sprofondare nel buio delle tenebre. Diciamo che la passione per la letteratura e per il cinema di paura ha una funzione esorcizzante, quasi riuscissimo a limitare a queste funzioni il piacere autodistruttivo che ci potrebbe portare a essere violenti con noi stessi o peggio con chi ci vive vicino. Ho già raccontato – mi fa piacere ripeterlo – che avevo dieci, undici anni quando in radio, sulla mitica Rete Azzurra della Rai, Ubaldo Lay leggeva I Racconti del terrore di Edgar Allan Poe, io ero in campagna, a pochi chilometri da Roma ma allora era ancora campagna, nella casa di mio nonno che si trovava sull’Appia Antica, per cui la corrente elettrica era nelle case ma non poteva stare sulla strada, considerata un monumento inviolabile. Ecco, io ero dentro un buio che più nero non poteva essere ed ero incantato dalla voce dell’attore, che mi faceva nascere, sotto la pelle e dentro il mio animo, paure profonde, amplificate dal fatto che intorno a me potevano essere in agguato mostri indescrivibili, fantasmi che navigavano su vascelli fantasma, donne destinate a morire esangui ed eteree. Come un bambino poteva immaginare che fosse la morte.

Mi accorgo che la mia prossima domanda potrebbe richiedere un intero trattato come risposta ma, se lei dovesse condensare in poche parole la sua esperienza straordinaria, come risponderebbe a questa:
quali sono le regole basilari della scrittura di tensione, per la televisione e per il cinema?
Ho sempre pensato che le regole esistono per essere contraddette continuamente, se tutto questo può essere utile per raggiungere lo spettatore in modo esaustivo. Per “acchiapparlo”, come si dice a Roma. Vorrei integrare la tua domanda: al momento sono cambiate, anche se in modo ancora disordinato, le modalità di fruizione del cinema e della Tv. Mi spiego: fino a poco tempo fa, il film si andava a vedere al cinema, la Tv si vedeva alla stessa ora tutti insieme; adesso i film ce l vediamo da soli a casa, la tv la vediamo on demand o con il computer quando vogliamo. Perché sollevo questo problema? Perché la fruizione è un problema che deve riguardare anche chi scrive la sceneggiatura di una opera, inutile negare che soprattutto per i film di paura o di tensione la sala cinematografica, con il buio e con la misteriosa presenza accanto a te di persone sconosciute e ipoteticamente pericolose, creava un’atmosfera favorevole, incline a farti vivere momenti di brivido o di orrore. Se tu vedi il film a casa tua, con la luce accesa, i bambini che piangono o che giocano, il telefono che squilla, è molto difficile creare tensione e paura. A meno che… io detesto il sangue e chiudo gli occhi come spettatore di fronte a qualcosa di troppo violento o schifoso, quindi ho sempre cercato di creare il sentimento della paura attraverso sensazioni e incubi, parole e atmosfere che s’insinuano nel tuo animo e ti creano angoscia. Non è facile riuscirci: a volte, un effetto splatter è più rapido ed efficace ma sullo schermo televisivo perde di forza, mentre è difficile resistere ai dubbi e alle domande inquietanti che distribuisci nel subconscio dello spettatore. Cosi ti rendi conto che la differenza non sta nel mezzo tecnico ma nella fruizione dello spettacolo.

A proposito di scrittura, lei ne ha una conoscenza completa, dal momento che si è cimentato con successo anche nella narrativa mistery: Una vita sprecata e Io sono la prova per Dario Flaccovio Editore e, con sua moglie Diana Crispo, Chiunque io sia per Hobby & Work e Dov’è Anna? per 21 Editore, il romanzo tratto dall’omonimo sceneggiato del 1976 che con 28 milioni di spettatori polverizzò ogni record d’ascolto della RAI. Che cosa di diverso le ha dato la scrittura narrativa dalla sceneggiatura?
Scrivere un racconto (mi dispiace che non ci spazio editoriale per volumi di racconti) o un romanzo significa avere un rapporto diretto con il lettore mentre, quando scrivi una sceneggiatura, devi sempre pensare che poi ci sarà un regista a interpretarla, attori a recitarla e così via. Dato che a me piace scrivere e lo faccio con doloroso piacere, ho sempre scritto copioni di gradevole lettura come mi hanno sempre detto i molti registi con i quali ho lavorato e non erano persone facili, come Maselli, Tessari, Fulci, D’Anza e soprattutto il regista che mi ha cambiato i testi più degli altri: Biagio Proietti. La verità è che, quando si passa dalla parola scritta alla immagine e alla parola detta, i rapporti cambiano e tu regista non devi avere remore nel cambiare, in funzione di quanto vuoi dire. La bellezza di scrivere un romanzo è che tu sei padrone totale e puoi affascinare il lettore non solo con il contenuto, con il racconto, ma, anche e soprattutto, con lo stile della tua scrittura. Mi fa piacere finire questa intervista, ricordando che poco prima del nostro incontro, il 1 dicembre alle ore 18, sul tema La paura sotto la pelle, il mitico Fantafestival di Roma, giunto alla edizione 37 edizione, mi dedicherà sabato 26 novembre un OMAGGIO A UN MAESTRO DEL FANTASTICO con due film TV Storia senza parole e La casa della follia, due piccole perle, ovviamente a mio giudizio, della mia lunga carriera. Per me, felice.

Concludo qui la mia intervista a Biagio Proietti, che ringrazio in modo speciale per avermi risposto tra un treno e l’altro in viaggio per il Nord Italia. Le domande per lui sarebbero ancora tante, ma voglio tener desta la curiosità dei lettori e del pubblico di ‘Paura sotto la pelle’ e pregustare il piacere di averlo ospite all’evento per l’intera durata di una lunga sessione.

BIAGIO PROIETTI, nato a Roma nel 1940, è ben noto a tutti gli appassionati di cinema e televisione di genere, spesso unito a quello di Diana Crispo, compagna di vita e di lavoro. Proietti & Crispo hanno inventato sceneggiati televisivi di culto come Coralba, Un certo Harry Brent, Come un uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, Ho incontrato un’ombra, Philo Vance (interpretato da Giorgio Albertazzi), Un uomo curioso, Dov’è Anna, La mia vita con Daniela, L’ultimo aereo per Venezia, Doppia indagine e Racconti fantastici (da Edgar Alla Poe. E’ noto agli appassionati anche come regista per aver girato alcuni telefilm (L’armadio, La mezzatinta, Miriam, La casa della follia, Uno più uno) e due film televisivi (Storia senza parole, 1979 e Sound, 1988, interpretato da Peter Fonda). Al cinema ricordiamo Chewingum (1984) e Puro cachemire (1986), suoi sono i soggetti e le sceneggiature per La morte risale a ieri sera di Duccio Tessari (1970), L’assassino ha riservato nove poltrone (1974) di Giuseppe Bennati e Black Cat (1981) di Lucio Fulci.
Per la radio ha scritto e diretto, fra l’altro, Il lungo addio e Aspetterò da Raymond Chandler e con Diana Crispo gli originali Tua per sempre, Claudia (trasmesso anche in Francia, Svizzera, Belgio) e Così è la vita.
Per il teatro ha scritto e diretto L’ultimo incubo di Edgar Allan Poe e Hammett n. 3241.

L’appuntamento con Biagio Proietti è per venerdì 1 dicembre  a Bologna, ore 15.00
Auditorium Enzo Biagi di Salaborsa -BO
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Giusy Giulianini

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