Faccia a faccia con Marilù Oliva

copertina okDopo Repetita e la trilogia della Guerrera arrivano Le Sultane. Un nuovo romanzo (il quinto) e tre nuove protagoniste. Due parole sulla storia e su come è maturata l’idea di raccontarla.
Questo romanzo fa parte di un progetto più ampio dedicato al tempo, ci stavo meditando da anni. Non sarà un progetto seriale, ma un ciclo di almeno tre romanzi collegati dal leit-motiv del tempo: cambieranno i personaggi, i contesti, persino la soluzione narrativa. Ma il tempo li accomunerà. Con questo primo romanzo, che è una sorta di commedia nera o tragedia comica, cerco di proiettare il lettore alla fine del nostro tempo terreno, puntando i riflettori su tre vecchie che sono consapevoli di essere giunte al tramonto, ma – costrette dalla vita, dalla solitudine e dalle vicissitudini – decidono di goderselo fino in fondo. Anche pagandone le conseguenze. Oltre alla storia in sé, l’idea ha preso forma a partire dai grandi mali del nostro tempo: l’individualismo, l’egoismo, l’incuranza dell’altro. Volevo mettere su carta la loro potenza corrosiva.

È  stato  difficile  abbandonare  un  personaggio  vincente  come  la  Guerrera  e intraprendere una nuova sfida?No, io senza sfide muoio. Poi sono stata facilitata da un dettaglio e te lo spiegherò all’ultima domanda.

Bologna è sempre protagonista nei tuoi romanzi e recentemente l’hai raccontata suPremium Crime in una delle puntate dedicate agli scrittori e al rapporto con i luoghi dove  ambientano le  loro  storie.  Oltre  a “molto pericolosa”,  com’è  la  Bologna  di Marilù Oliva?
Vero, su Premium Crime dico che la Bologna della Guerrera è piena di insidie e pericoli: nella realtà è meno infida di quanto la dipingo nei romanzi, ma non crediate che sia tanto rassicurante, soprattutto al buio e in certe zone isolate. Non parlo solo dei portici, che sono luoghi abbastanza sicuri, ma il messaggio di fondo è che il pericolo arriva comunque da dentro.
La Bologna di Marilù Oliva non esiste, nel senso che non la considero la mia città. Avendo vissuto una parte della vita lontano, non ho un grande sentimento di appartenenza e, anzi: mi sento a metà tra cosmopolita e senzapatria. Comunque, la città in cui abito mi piace, anche se non la trovo accogliente come un tempo e ho sensazione che anche lei sia un po’ disorientata.

Dopo Bologna, un’altra città che ti piacerebbe raccontare.
Tante, anche antiche. Cnosso. Tebe. Una città o un’isola greca. O latino-americana, nel Novecento. O anche un città italiana di oggi, magari del sud: purché ci sia il mare.

Tralasciando  la  questione  irrisolta  della  definizione  di  noir,  credi  che  il  genere declinato al femminile possieda caratteristiche e sfumature diverse rispetto a quello dei tuoi colleghi maschi?
Dipende. Esistono autori dotati di una scrittura così profonda che travalica l’essenza maschile o femminile – e cito, ad esempio, travalicando i generi, Agota Kristof –: se il lettore non conoscesse l’autore, non sarebbe in grado di decifrare tra le pagine la voce di un uomo o di una donna. Poi ci sono scrittrici che in qualche modo trasudano il loro sentire femminile, e qui prendo un esempio dalla narrativa storica. Nei libri di Maria Bellonci vi è una cura per il dettaglio, una naturalezza nell’indagine dei moti dell’animo, un’inclinazione all’analisi complessa dei comportamenti da cui trapela una delicatezza ferma, ma senza dubbio femminile.

Da  Repetita  alle  Sultane  passando  per  la  Guerrera,  è  cambiato  il  tuo  modo  di affrontare la  stesura di  un romanzo? A cosa non puoi  proprio  rinunciare  mentre scrivi?
Certamente adesso ho più consapevolezza. Sperimento di più e, per assurdo, mi lascio anche più andare. Riconosco più errori e, forse, dal punto di vista della tenuta mi sento sicura perché ho interiorizzato un’idea di completezza cui fare riferimento. Ovviamente questo si paga: spesso i primi romanzi sono meno precisi, più ingenui, ma il disordine ha il suo fascino.
Rinunce? L’unica cosa cui non posso rinunciare è la concentrazione.

Non solo la Guerrera e le Sultane, per Elliot ha curato l’antologia “Nessuna più. 40autori contro il femminicidio”, patrocinata da Telefono Rosa. Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?
È stata un’esperienza molto forte e impegnativa, bellissima dal punto di vista umano e condivisa con tutti gli altri scrittori dell’antologia. In totale 38 racconti che han preso spunto da storie vere, storie tristi, alcune sconosciute, alcune casi celebri di cronaca. L’esperienza non è conclusa, innanzitutto perché purtroppo il tema trattato è attualissimo, poi perché è in corso una traduzione messicana del libro. Ma a parte questo, è bello vedere che molti degli autori stanno continuando a dare il loro contributo contro il femminicidio portando l’antologia nelle scuole, ai reading, agli incontri. O semplicemente parlandone.

Ultima domanda, scontata, ma inevitabile. Tornerà la Guerrera?
Certo che torna. Stiamo ultimando un fumetto che io ho sceneggiato e per cui l’illustratore Niccolò Pizzorno ha prodotto delle tavole meravigliose, si tratta di una nuova avventura di Elisa Guerra. Di più non posso dirvi, se non che si è concretizzato un antico desiderio: appassionata di fumetti, desideravo da anni realizzare un lavoro del genere. E poi Niccolò è un grande.

Ferdinando Pastori

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