Vite bruciate



Dominique Manotti
Vite bruciate
Tropea
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Alla filiale Daewoo di Pondange un nuovo infortunio sul lavoro. Orribile eufemismo con cui si nasconde un vero e proprio crimine. Così viene percepita infatti l’ennesima morte di un lavoratore. Questa volta è toccato alla giovane operaia Émilienne, fulminata dalla corrente elettrica. La fabbrica viene occupata, gli operai decidono per lo sciopero sine die, la rivolta è gonfia di una rabbia che non chiede che di essere accesa. Così accade. Il fuoco sale alto e non solo metaforicamente.

Un incendio si porta nella cenere l’intero stabilimento. Dirigenti salvi dopo la gran paura e caccia ai rivoltosi. Non solo. Caccia, serrata caccia a chi, durante l’occupazione, è entrato in possesso o ha avuto modo di conoscere documenti informatici che di esplosivo hanno la possibilità di far saltare un matrimonio di “interesse nazionale” tra la Daewoo-Matra e il colosso francese Thomson multimedia. Con tanto di benedizione del governo di Parigi. Immagini pedopornografiche o stuff movies, ma questo è il minimo. Roba per qualche ricattuccio. Più pesanti le false fatturazioni, le sovvenzioni europee per lo sviluppo volatilizzate con una semplice partita di giro, i conti correnti attribuiti agli operai ma mai usciti dall’orbita dei colletti bianchi. E fondi, tanti fondi stornati per comperare il primo rappresentante dello Stato che porta una cifra ben scritta in faccia.

L’indagine dell’incendio e la parallela ricerca sulla delicata e detonante documentazione contabile sono i due centri d’attenzione. In mezzo, Charles Montoya, ex poliziotto. Che presto capisce quello che agli stessi operai sarebbe apparsa una bestialità incomprensibile nei giorni della rivolta: non sono mai stati stati autori, ma sempre solo semplici esecutori dei loro stessi destini. Decisi dai soliti noti nelle stanze dell’Unione Europea di Bruxelles o in deliziosi ristoranti della capitale. E quando si ha davanti il Potere, non si sa mai chi vince veramente. Ma si conoscono molto bene i nomi e i cognomi di quelli che perdono in partenza.

Con Vite Bruciate (Tropea, Lorraine Connection nell’originale), Dominique Manotti dà fondo alla sua vita intera. Ex cattedratica di Storia economica contemporanea negli atenei parigini, militante sindacale e attivista politica nei movimenti di sinistra, l’autrice inserisce in una tambureggiante storia noir le coordinate ancora attuali che raccontano le relazioni economiche-sociali della Francia postindustriale. Fatti realmente accaduti durante gli anni Novanta in piena Lorena. Con tutta la brutale fame di danaro sonante e le scalate ai vertici del Potere che segnarono la vicenda che sorregge l’intera storia.

Non c’è scampo per nessuno quando a crollare è addirittura un modello di sviluppo su cui il celeberrimo senso dello Stato francese ha fondato se stesso. La corrutela dell’intreccio tra economia e politica produce al suo interno il virus dell’autodistruzione: l’incapacità di rallentare il passo anche quando si gioca con la propria sopravvivenza. E allora partono colpi su colpi da far diventare improba anche la semplice conta di chi è rimasto per terra. Anche se poi rimane da sbrogliare la matassa dei mandanti e delle responsabilità connesse.

Dominique Mariotti, con la sua narrazione scarna e senza fronzoli, ci fornisce un nuovo specchio dei tempi della Grande Francia, già ampio e lucente in altri titoli di forte impatto come Le mani su Parigi e Curva Nord. Una Francia che se si guarda dentro, sembra dirci l’autrice, si scopre molto italiana. Senza vergogna e senza orrore. La salvezza? All’orizzonte non si scorge. Ma osservando più da vicino il mondo femminile forse c’è ancora modo di pensare che non tutto è perduto.

Corrado Ori Tanzi

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