Il diario di Dawid Sierakowiak



Sierakowiak
Il diario di Dawid Sierakowiak
einaudi
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Forse potrà apparire inconsueta e bizzarra la scelta parlare di quest’opera nella rubrica Investigalibro. In realtà è dettata da due ragioni ben precise. La prima è che il giovane Dawid Sierakowiak, ebreo polacco di Lodz, nei suoi quaderni si rivela non solo un cronista attento, preciso e deduttivo, ma anche un “investigatore della ragione” molto acuto e straordinariamente capace di separare i fatti dalle opinioni, le dicerie dagli accadimenti. Dawid, stando dentro quell’inferno sulla terra che fu il ghetto di Lodz, ogni giorno, per quattro anni, annotò quello che avveniva, quello che vedeva con i propri occhi e quello che arrivava ai suoi orecchi, riuscendo molto presto a trarre deduzioni che purtroppo erano destinate a diventare storia.
Fra i quindici e i diciannove anni Dawid è una mente straordinariamente brillante, un vorace divoratore di conoscenza, uno studioso puro sostenuto da una volontà sopravvivere per apprendere che fino all’ultimo fu più tenace dello sfinimento fisico.
«Per noi non c’è veramente speranza di uscire da qui.» E’ la sua ultima annotazione e porta la data del 15 aprile 1943: Dawid morirà quattro mesi dopo di tubercolosi e di fame. Uno dei sessantamila “schiavi del reich” che persero la vita nel ghetto di Lodz. Se fosse vissuto il mondo avrebbe avuto un genio in più.

I diari, cinque quaderni ritrovati fortunosamente nell’appartamento del ghetto in cui il giovane “cronista inconsapevole” visse per quattro anni, raccontano giorno dopo giorno l’escalation della ferocia nazista a partire dall’esordio in sordina nel giugno 1939.

Ma raccontano anche qualcos’altro.

Le lucide annotazioni quotidiane oltre a dare informazioni su quel microcosmo dolente e quasi sconosciuto che fu il ghetto di Lodz, mettono l’accento su due argomenti dei quali si è sempre parlato malvolentieri. Il primo riguarda la grande menzogna degli europei e, in particolare, del popolo tedesco, che giustificarono l’inerzia e l’indifferenza con cui assistettero allo sterminio sostenendo di non sapere cosa realmente avvenisse nei lager. In realtà, come fa sapere Dawid, le notizie sotto forma di “voci” riuscivano a forare perfino la cortina blindata eretta attorno al ghetto di Lods, quindi circolavano quasi liberamente dappertutto e il progetto nazista di pulizia etnica non era affatto un segreto, non fosse altro che per il fatto che lo stesso Hitler amava vantasene pubblicamente.

Il secondo argomento, forse ancora più imbarazzante e doloroso, riguarda invece la complicità di molti ebrei con gli aguzzini.

Facendo la cronaca quotidiana di quello che gli avveniva intorno, Dawid mostra la faccia in ombra dell’Olocausto: quella della collaborazione di molti notabili, professionisti, pubblici amministratori, operatori a vario titolo, tutti ebrei, che nel ghetto, per convenienza personale, si prestarono a fare il “lavoro sporco” di spie, di kapo, di funzionari amministrativi, di agenti della Kripo (la polizia criminale ebraica).

Dawid, marxista convinto, osserva e commenta che nel ghetto è soprattutto la povera gente a morire di fame, di pidocchi e di tubercolosi. E’ solo la povera gente che deve battersi fino allo stremo per assicurarsi una patata in più, un lavoro schiavizzante ma essenziale per non essere deportati, condizioni di vita meno disumane. Invece, chi per un verso e per un altro aveva potere, riesce a ingrassare e campa più agiatamente di quanto non facesse prima della guerra. Almeno fino al rush finale, quando i nazisti avviarono tutti alle camere a gas.

Sicuramente le meschine complicità degli ebrei con gli aguzzini non furono determinanti per il compimento dell’olocausto. Prova ne è il fatto che la maggior parte degli ebrei che “ingrassarono” finirono comunque sui treni piombati. Resta però la profonda amarezza di una constatazione di Dawid: nel ghetto di Lodz, come altrove gli ebrei sopportarono indicibili torture e sopraffazioni e si avviarono verso i lager “docili come bestie al macello”, senza tentare alcuna reazione, perché a guidarli e a mantenere a calma c’erano personaggi come Haim Mordechai Rumkowsky, l’imperatore del ghetto.

Duce, condottiero, fratello, amico… Rumkowsky collaborarò magnificamente con gli oppressori dispensando sorrisi e caramelle ai bambini mentre convinceva le madri a consegnarli spontaneamente ai nazisti che li avrebbero asfissiati col gas, riducendo drasticamente la distribuzione degli alimenti nei giorni che precedevano le deportazioni per fiaccare le forze alle vittime in modo che nessuna reazione venisse tentata. Tutto questo però non servì a farlo arrivare incolume alla fine del conflitto. Anche lui finì ad Auschwitz e lì sembra (ma è solo una voce non confermata), che a condurlo direttamente nel forno crematorio senza passare dalle docce a gas furono proprio i suoi concittadini internati.

adele marini

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