La terra degli uomini integri – Antonio Gentile



Antonio Gentile
La terra degli uomini integri
La Corte Editore
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La terra degli uomini integri
Vita di Thomas Sankara

Un ingegnere prestato alla narrativa, Antonio Gentile, che, stanco forse del mondo arido dei numeri e curioso invece della vita degli uomini, qualche anno fa ha autopubblicato un romanzo (I cavalli delle giostre), poi uscito per i tipi de Il Camaleonte Edizioni, con cui ha vinto il premio InediTO al Salone di Torino. Ora si cimenta con la biografia romanzata di Thomas Sankara (La terra degli uomini integri, La Corte Editore, 2021). Thomas Sankara, nientemeno. Il Che Guevara africano, leader carismatico di quello che fu l’Alto Volta dopo la spartizione di fine ‘800, ucciso a soli trentasette anni, poco dopo aver pronunciato l’esplosivo discorso sul debito davanti alle Nazioni Unite, in cui puntava il dito contro i grandi della Terra. In lui Antonio Gentile si è imbattuto per caso, mentre compiva alcune ricerche preliminari sull’Africa per ambientarvi il suo secondo romanzo. Ne è rimasto stregato. La sua visione geopolitica, l’ideale coraggioso di una rivoluzione contro i poteri forti e il loro imperialismo economico, la difesa a oltranza di quanti erano sfruttati da quel colonialismo superstite, o meglio mai tramontato, hanno attratto Antonio Gentile e non lo hanno lasciato più. Tant’è che i proventi della vendita del libro saranno da lui devoluti in favore delle organizzazioni che operano nel Burkina Fasu, il nuovo nome dell’Alto Volta, così ribattezzato proprio da Sankara. La Terra degli uomini integri, questo il significato, un simbolo forte in cui il popolo potesse riconoscersi.

La stesura del romanzo ha richiesto tre lunghi anni, di ricerche pazienti e scrupolose, per conferire attendibilità alla ricostruzione dell’ascesa e della caduta di Sankara. Ne è valsa la pena perché ora il biopic trascina con il ritmo di un thriller e appassiona come un romanzo d’avventura.

Una vita straordinaria, quella di Sankara: dal primo incontro, ancora in età infantile, con la bellezza e la povertà della sua terra – incarnate nel volto angelico di una bambina nomade che, sul sagrato della chiesa, aspetta l’uscita dei fedeli per lustrare loro le scarpe – all’ultimo, fatale, con la paura della morte e con la bruciante consapevolezza del tradimento di Blaise Compaorè, il suo compagno di lotta, il miglior amico. Un fratello per lui, un altro figlio per suo padre. Eppure Thomas non gli serba rancore, anzi gli chiede di aiutarlo a trovare il coraggio per morire, lui che ne ha sempre avuto di più. 

E, tra quei due poli, una vita immolata per il riscatto della sua terra, una delle tante depredate in suolo d’Africa, sfruttate nelle immense ricchezze da un colonialismo che non è mai finito e che lascia i popoli stremati, decimati da carestie e violenze, sempre più poveri. Un neocolonialismo, per il quale il prefisso denuncia tutta la reiterazione di un misfatto. Un neocolonialismo per opporsi al quale Thomas Sankara è stato ucciso, con la complicità del suo amico Blaise, per mano di sicari stranieri. L’autore non può evitare di chiedersi chi abbia armato quegli assassini, e neppure noi possiamo. Del resto, a oltre trent’anni dall’omicidio, il processo per individuare quei mandanti è ancora in corso. Lo stesso presidente Macron si è impegnato ad aprire gli archivi dei servizi segreti, eppure non si può fare a meno di chiedersi se si arriverà mai alla verità.

Il romanzo intanto scuote le coscienze e restituisce intero il fascino trascinante di un leader che in soli quattro anni cambiò il volto del suo paese. Un visionario che si riconosceva la pazzia necessaria a inventare un futuro diverso, un uomo colto che nella cultura credeva davvero e seppe portare la scolarizzazione a un incredibile ventidue percento, costruendo una scuola in ogni villaggio. Un oratore magnetico che sollevò il popolo attorno a sé, che si oppose al feudalesimo rurale che permetteva ai capivillaggio di sfruttare i contadini, alla prostituzione femminile, a una percentuale troppo alta di morti infantili. Non piacque a tutti, per un’integrità che a volte si dimostrò eccessiva, sollevandogli contro scioperi e rimostranze. Dalla grande maggioranza però fu venerato come un santo, mentre all’estero lo videro come un fanatico demagogo. 

Ancora oggi, comunque, non si può leggere la sua storia con indifferenza, perché è la storia di un sogno che avrebbe dovuto liberare per sempre quella terra tragica e bellissima da un destino ineluttabile di sofferenza. E invece non è cambiato quasi nulla, per l’avidità di molti e per l’indifferenza di tutti. Anche la nostra. 

Il romanzo di Antonio Gentile vibra di sincerità, rende concreto spessore ai protagonisti, restituisce con passione i colori brucianti di una terra arrossata dalla polvere e dal sangue. Non si può leggerlo senza lasciarsi toccare nel profondo. 

Confesso di non aver mai sentito il “mal d’Africa” eppure, girata l’ultima pagina, mi accorgo che quella polvere rossa, anziché annebbiarmi la vista, l’ha resa più acuta.

Giusy Giulianini

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