Schegge di nero

Chi ricorda la collana Nero Italiano? Nell’estate del 1989 fu presentata a Cattolica dalla Mondadori che propose negli Oscar una linea Originals diversa nel formato e nei contenuti dagli abituali volumi presenti in libreria. Un tentativo, forse in anticipo sui tempi che rifiutavano anche solo l’idea del giallo italiano. In verità “giallo” non era, perché la collana si proponeva di presentare autori nuovi, storie dure, metropolitane con forti legami alla cronaca. Come diceva la pubblicità: “Il romanzo italiano gioca la sua carta nera”. Forse perché, già a quei tempi, il romanzo italiano di carte da buttare sul piatto non ne aveva più molte.

Certo c’era appena stato il caso di Volevo i pantaloni e non erano ancora scoppiati quelli di Va dove ti porta il cuore, Seta, 100 colpi di spazzola per non parlare di Tre metri sopra il cielo e compagnia bella… diciamo la verità: l’ambiente culturale ed editoriale sono sempre stati avversi alla narrativa di genere italiana. Storie psicologiche, drammi familairi, commedie, amorazzi, elucubrazioni pseudo intellettuali sì…ma sani romanzi di genere…pulp…chi ci credeva? Forse neanche l’editor o il curatore. Di fatto i primi passi di narratore li feci in quella collana affrontando di persona tutte le difficoltà non solo di essere un emerito sconosciuto ma di avere la propensione a raccontare storie violente, cupe che, lo ammetto, a quei tempi traevano la loro ispirazione dalla narrativa a stelle e strisce piuttosto che da una solida tradizione nostrana. Da noi funzionavano dei cloni del commissario Maigret (e ancora funzionano), storie sociali con sprezzi di crudeltà…cannibale, esaltati e scartati nel breve giro di una stagione.

Una seria tradizione di romanzi neri si poteva ricercare in certe opere di Scerbanenco ma, all’epoca, non era di monda neanche quello. Malgrado tutto la scuola italiana di genere nasce in quel momento. Si contamina con mille riferimenti cinematografici (poliziotteschi e argentiani anni 70) romanzi, fumetti, suggestioni di altre culture, dal noir francese a quello di Hong Kong. Oggi tutti scrivono gialli, anche scrittori che vorrebbero fare letteratura e pensano furbescamente che inserendo un cadavere si richiami la gente. Ognuno ha la sua strada.

Quella che mi interessa, però, è percorsa da una ormai nutrita schiera di autori tra i quali mi piace ricordare Altieri, Cappi, Baraldi , Marcialis, Nerozzi, Salvatori, Pinketts, Ossola, Grugni, Tarenzi, Teodorani. Li butto giù così, senza ordine o preferenze. Sono amici e basta e mi scusino quelli che non ho citato. Gente “brutta” nell’accezione “bella”. Compagni di strada. Gente che ha trovato diverse ispirazioni e le ha coltivate secondo i dettami di quella che all’epoca chiamammo La scuola dei duri. Così senza segreterie, quote associative, riunioni plenarie. Ci si trovava in un locale o in un altro a parlare di thriller, buoni e meno buoni, si tirava mattina. Si seguivano anche strade molto differenti una dall’altra. Personalmente ho scritto – e ancora continuo a farlo- soprattutto spy-stories, un genere che ritengo strettamente imparentato con il nero. Storie di violenza, di sesso, di uomini disperati. Per più di dieci anni seguendo una pista tracciata un po’ da vicende personali un po’ dal mio gusto ho scritto romanzi con ambientazioni esotiche, lontane, senza vergognarmi di usare uno pseudonimo se l’editore me lo richiedeva. Poi, l’anno scorso, ho scoperto che camminando nella notte, nella mia città, Milano, c’erano set e storie da raccontare cupe e violente quanto e più di quelle che avevo narrato sino a quel momento. E mi sono reso conto anche di non essere il solo a farlo. Altri autori ritraggono scorci di città italiane, magari di provincia, a volte – e spesso – proprio la mia. Ci vedono magari altre cose, altri vicoli li invitano a entrare. Però c’è una sensazione di malessere che oggi si sposa anche con un buon professionismo. La volontà, anzi il desiderio di raccontare vicende italiane, ben costruite, avvincenti, fuori dalle righe. Senza voler lanciare messaggi ma con la consapevolezza che autori di thriller e noir richiede dedizione e umiltà,conoscenza del genere in tutte le sue sfaccettature e, ammettiamolo, anche un contatto con quella realtà che si racconta. Di assassini e donnacce stiamo parlando, di omicidi, di brutti traffici e localacci.

Non è che uno certe cose se le può solo immaginare a casa. La notte ci appartiene. Riprendiamocela e raccontiamola. Anche quando c’è il sole perché la Notte è una categoria dell’anima, un background che, come actionwriter , rivendico mia. E di molti colleghi di cui vorrei parlarvi, un appuntamento dopo l’altro con interviste segnalazioni, spunti di approfondimento. Per il momento mi sento completamente assorbito in Montecristo che vede il mio esordio con un romanzo nel Giallo Mondadori, collana storica che ha ospitato tutti i più grandi. Mi presento con una storia italiana,per la prima volta con uno sbirro, uno di quelli scomodi in una situazione che non è solo provinciale e nostrana perché niente lo è più. Una storia che mi ha riportato in parte in quella Milano di Per il sangue versato che fu il mio romanzo d’esordio. Ambientato a Milano, in Nero Italiano. Ma dopo quasi vent’anni la città è cambiata. Ho cercato di raccontarla come la vedo oggi. Quella di allora è solo una luce che ammicca nella notte. Quasi spenta ma ancora viva. Nei ricordi. Perché malgrado le pallottole, il sangue, il sesso consumato quasi come alcol o droga è nei ricordi che sta l’anima del nero. Ti si appiccica addosso e ti tormenta. Ma senza ricordi, anche dolorosi, non siamo nulla. Né scrittori, né eroi maudit. Né uomini.

stefano di marino

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