Un mattino da cani



Christopher Brookmyre
Un mattino da cani
meridiano zero
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Un mattino da cani, Jak Parlabane, giornalista d’assalto di ritorno a Edimburgo dopo una lunga parentesi lavorativa negli Stati Uniti, si risveglia in un appartamento vuoto, ancora vittima dei postumi della sbronza. Allertato dai rumori, esce sul pianerottolo per verificare -chissà perché- che i poliziotti accorsi a frotte nello stabile non stiano cercando proprio lui, e, per effetto di un intempestivo colpo di vento, si ritrova chiuso fuori, in mutande. Per tornare nell’appartamento, non ha altra scelta: deve intrufolarsi a casa di qualche vicino, e rientrare da una finestra. Purtroppo, non ha ancora fatto amicizia con nessuno, e l’unica porta aperta è quella del defunto medico Ponsonby, il cui cadavere, mutilato e riverso in una pozza di vomito, è appena stato rinvenuto; così, quando l’inappuntabile (o quasi) agente Dalziel lo coglie in flagrante mentre, seminudo e sporco di vomito, cerca di lasciare la scena del crimine attraverso la finestra, Parlabane si ritrova in cima alla lista dei sospettati…

Uscito nel 1996, “Un mattino da cani”, romanzo d’esordio dello scozzese Christopher Brookmyre, recupera un intreccio classicamente hard-boiled (viene in mente, tra gli altri, il meraviglioso “Un sudario non ha tasche” di Horace McCoy) e lo trasferisce in una cornice dichiaratamente tarantiniana (non si tratta della semplice citazione nominale: il brano relativo al tentato omicidio di Parlabane nel gabinetto della sua casa di Los Angeles, curiosa trasfigurazione della fine di Vincent Vega, denuncia tutta l’influenza dell’allora recentissimo “Pulp Fiction”), che ben si sposa con la quasi inedita ambientazione scozzese, negli stessi anni portata alla ribalta dai primi adattamenti cinematografici dell’opera di Welsh.

Il romanzo si apre con l’accurata descrizione ambientale di una delle più lerce e deliranti scene del crimine della storia del noir; gli agenti di polizia sono già in azione, ma i loro movimenti sono tanto maldestri, e la sequenza è tanto confusa, che il lettore sente che la vicenda non si chiarirà mai. Fortunatamente, in poco meno di una decina di pagine, il narratore extra-diegetico (che, con mossa classica, si esprime in terza persona e al passato) abbandona il punto di vista del quasi insopportabile McGregor per concentrarsi, dopo un inedito “raccordo olfattivo” (che, non ammettendo derivazione né traduzione visiva, se non con il ricorso a lunghe e frustranti perifrasi, eccede ogni riferimento cinematografico, e manifesta tutta l’originalità dell’autore) sul ben più accettabile Parlabane. L’unico punto di contatto tra McGregor e Parlabane sembra essere l’appartenenza ad uno stesso universo diegetico: appena passato da un punto di vista all’altro, il narratore (volutamente e dichiaratamente parallittico, forse ancora per suggestione tarantiniana) cambia registro; l’incomprensibile confusione iniziale cede il passo ad una più “semplice” (ma, almeno per ora, non meno sgangherata) e sostenibile situazione di “squilibrio”, che vede l’eroe sospettato di omicidio. Da qui in avanti, comunque, lo scioglimento della vicenda procede in maniera inaspettatamente sicura e lineare, con un progressivo attenuamento dei toni comici (e non semplicemente ironici) dell’incipit, e con ritmo regolare (a dispetto dello spostamento dell’attenzione da uno all’altro dei personaggi) che accelera solo in vista del climax finale; il risultato è uno di quei meravigliosi prodotti anni ’90 dei quali oggi si incomincia a sentire la mancanza: un hard-boiled di (ri)costruzione postmoderna che, pur mantenendo un altissimo potenziale d’intrattenimento, dimostrando un certo gusto per le trovate da action movie (non a caso, in apertura a uno dei brani cruciali del romanzo, la dottoressa Sarah Slaughter cita “Mission: Impossible”, riferendosi, probabilmente, alla coeva versione cinematografica firmata da Brian De Palma), per il particolare guignolesco e per la farsa, manifesta in maniera fin troppo chiara le intenzioni satiriche e (criticamente) politiche dell’autore.

Fabrizio Fulio-Bragoni

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