Criminalità organizzata, indaga Otello Lupacchini

Otello Lupacchini, sostituto procuratore alla Corte d’Appello di Roma, le indagini non le compie solo per la narrativa: dal 1979 ad oggi si è occupato di alcuni dei casi più caldi sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, tra cui gli omicidi del pm Mario Amato, di Roberto Calvi e di Massimo D’Antona, della strage di Bologna e dei delitti della banda della Magliana.
Attualmente si sta occupando del processo alla Mafia del Brenta. Autore di numerosi scritti giuridici, ha pubblicato, per la Koinè Nuove Edizioni, Banda della Magliana. Alleanza tra mafiosi, terroristi, spioni, politici, prelati, Il ritorno delle Brigate Rosse e Dodici donne un solo assassino. Da Emanuela Orlandi a Simonetta Cesaroni (2006).
Per Cairo Editore ha pubblicato Malagente (2009).
Lo incontriamo a Varese per Sabatogiallo.

Sul profilo di Facebook lei si definisce un giusfilosofo. Può spiegarci come mai?
Perché mi sono dedicato per tutta la vita alla filosofia del diritto, ma sono anche un giurista filosofo. Non potevo più definirmi “magistrato superlativo” perché il titolo se lo era già attribuito qualcun altro… anche se non ha mai azzeccato un’inchiesta.

In magistratura dal 1979, ha avuto modo di occuparsi di molti casi importanti della storia italiana. Ciò che la gente ha letto sui giornali nel corso degli anni corrisponde a quanto contenuto nei dossier?
I giornali danno notizie che per loro natura sono frammentarie disorganiche e difficilmente verificabili. La conoscenza implica un quadro organico di elementi verificabili, i giornali spesso si alimentano di dietrologie.

Lei si è occupato di delitti di cui sono state vittime donne, da Emanuela Orlandi a Simonetta Cesaroni, perché ritiene che dieci uccisioni e due sparizioni siano da ascrivere a un solo responsabile?
Vi sono fatti ricorrenti in una serie di omicidi, non solo le vittime sono donne, sono anche tutte state uccise e trovate in un certo modo, lavate e preparate, e non sono state rinvenute nel luogo in cui è avvenuta l’uccisione. Non so se si può parlare di serial killer, sono un giusfilosofo, mi accontento di guardare e catalogare i fatti.

Cosa pensa dei recenti sviluppi di due di questi casi, la morte di Pietrino Vanacore e le ultime rivelazioni sul caso Orlandi?
Sono ingredienti forti per costruirci sopra un bel mistero o per alimentarne, dispongo solo di notizie giornalistiche, frammentarie e inorganiche e non posso esprimere giudizi. L’unica cosa che so per certa è che pur essendomi interessato per anni alla banda della Magliana non è mai emersa anche solo a livello di ipotesi la connessione con le vicende di Emanuela Orlandi. In anni recenti qualcuno ha ritenuto di riconoscere una voce che quando ebbe l’opportunità di raccontare e essendo collaboratore di giustizia l’obbligo, nulla disse. A distanza di ventisette anni mi sia consentito nutrire dubbi in proposito.

Pensa che ci siano rischi di ritorno al terrorismo e alla lotta armata?
Viviamo in un paese nel quale le tensioni non trovano più adeguata mediazione a livello politico. E’ la situazione ideale sia per terroristi veri che per quelli di laboratorio per entrare in operatività. E’ un rischio da tener presente, bisogna tenere alta la guardia

Nel suo libro Malagente ipotizza l’esistenza di una struttura parallela che detiene il vero potere in Italia. Pura fantasia o i fatti lo dimostrano?
Malagente è ambientato nel Belpaese. Esistono delle strutture occulte che utilizzano la politica, l’economia e che agiscono quando non vi sono momenti di mediazione . Se vogliamo parlare dell’Italia, strutture di questo genere ve ne sono state, chi ha una professionalità cerca di reimpiegarla. Gli agenti ei servizi dell’Est forse non sono tutti nella Legione Straniera, forse le loro competenze vengono utilizzate diversamente. Ognuno di noi si guarda ogni tanto intorno e metabolizza quello che vede, cerca di raccontarlo trasferendolo in un mondo fantastico in cui ci sono i residui della realtà in cui vive, di un mondo che ci resta attaccato addosso Negli anni settanta la criminalità in Italia ha dovuto ristrutturarsi come accade a tutte le aziende serie, il modello è stato quello vincente , quello mafioso.

C’è qualche speranza per questa Italia?
La realtà dell’Italia è una versione un po’ più cattiva del paese di Acchiappacitrulli dove è più facile essere puniti per reato patito che per reato commesso. Sono un ottimista sono sicuro che viviamo in un mondo sconcertante, ma mi preoccupano i pessimisti …

Che cosa l’ha spinta a pubblicare dei libri?
Una forma di training autogeno, mi piace raccontare il mio vissuto in terza persona attribuendo le proprie esperienze ad altri. Una forma di mascheramento per un bugiardo patologico come me.

ambretta sampietro

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