Delitti pitagorici



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Delitti pitagorici
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La Storia è piena di Rivoluzioni, in qualsiasi campo. Artistico, politico, sociale, industriale, scientifico. E’ piena di uomini che da soli hanno avuto il coraggio, o l’incoscienza, di andare contro qualcosa che nessuno, prima di loro, aveva osato non dico contrastare, ma nemmeno mettere in dubbio. E nella maggior parte dei casi essi hanno pagato con la vita questo coraggio. Nonostante questo però le Idee, se sono giuste, non muoiono insieme a chi per primo ha avuto il coraggio di esprimerle, ma costituiscono il fondamento stesso del Progresso.

Come Ippaso di Metaponto, per esempio. Ultimo allievo della scuola del supremo maestro Pitagora, colui per il quale tutto è numero, che scopre come la più semplice delle forme geometriche, il quadrato, nasconda la dimostrazione della presenza di un numero che…in realtà non è affatto un numero, non nel senso inteso dai Pitagorici almeno. Una scoperta che potrebbe minare le basi stesse della società ellenica…qualcosa per cui vale la pena uccidere. Eppure ora, a distanza di secoli, l’irrazionalità del rapporto tra diagonale e lato di un quadrato è cosa largamente nota e accettata…a cosa è servito quindi, ai suoi assassini, il delitto di Ippaso? Solo a ritardare di poco tempo l’inevitabile: il Progresso, che altro non è che l’innato istinto dell’essere umano a indagare l’ignoto per superare i propri limiti.

Facciamo un salto in avanti di molti secoli. Siamo nel 1900, e Parigi, calderone di avanguardie artistiche e scientifiche, è in subbuglio per due grandi eventi: l’Esposizione Universale e il Secondo Congresso dei Matematici. E’ qui che due brillanti studenti greci, Mihail e Stefanos, si conoscono e diventano subito grandi amici, accomunati dalla grande passione comune per la matematica. Frequentano insieme lezioni, spettacoli mondani, entrano in contatto col variopinto mondo degli artisti emergenti e squattrinati di Montmartre, in particolare con un giovane pittore spagnolo di nome Ruiz e la sua cricca di sfaccendati. Le loro vite si dividono, si reincontrano e si intrecciano nel corso degli anni successivi. Mihail abbandona la matematica, segue strade diverse da Stefanos che invece si dedica sempre più anima e corpo alla “scienza delle scienze”, e in particolare alla dimostrazione a uno dei problemi più controversi dell’epoca, qualcosa che potrebbe cambiare per sempre il modo stesso di intendere e approcciare la matematica.

Tutto ciò, però, si interrompe bruscamente quando (siamo ormai nel 1929) Stefanos viene ucciso nella sua casa. E’ forse un delitto legato alle sue ricerche? Magari anche lui, come Ippaso, aveva scoperto qualcosa di molto, troppo importante per permettergli di divulgarlo. Ma servirà davvero il suo assassinio a fermare la verità? O è stato ancora una volta, come fin troppe volte nella storia, commesso l’errore di credere che fermando una persona si possono fermare anche le sue idee?

“Delitti pitagorici”, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, non è un giallo. E’ la storia della grande amicizia tra due menti brillantissime, è un ritratto vividissimo di un epoca tra le più importanti dell’intera storia, e di un luogo, Parigi, capitale di tutti quei cambiamenti che hanno segnato la nascita del Ventesimo Secolo e che sostanzialmente hanno reso il mondo quello in cui noi viviamo oggi. E’ anche la storia, in pillole, dei grandi progressi nella scienza matematica che proprio in quegli anni, in Francia e in Germania, ha avuto i suoi esponenti più illustri, da Hilbert a Poincarè, da Gauss a Riemann.

Ma è soprattutto la storia, che spesso si ripete, della superbia dell’uomo che pensa di poter fermare un idea rivoluzionaria solo uccidendo il suo messaggero, commettendo così un “delitto pitagorico”, proprio come quello di Ippaso di Metaponto. Ovvero, alla fine, assolutamente inutile.

davide schito

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