Gin Tonic a occhi chiusi



Marco Ferrante
Gin Tonic a occhi chiusi
Giunti
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Confesso. Durante la pausa natalizia ho un po’ divagato da quelli che, in fatto di letture, sono i miei abituali interessi e nel farlo mi sono a volte imbattuto in qualche libro davvero interessante.
Ad esempio, questo Gin Tonic a occhi chiusi, di Marco Ferrante, scrittore e giornalista (è attuale vice direttore di La7), uscito, in verità già da qualche mese, per Giunti Editore.
Romanzo piuttosto particolare, Gin Tonic a occhi chiusi “racconta” qualche anno di vita di una famiglia romana alto borghese, i Misiano, i cui vari esponenti sono impegnati nelle professioni, in politica, alla dirigenza degli apparati statali.
Probabili discendenti di quel “generone” che si è arricchito con la speculazione immobiliare degli anni ’50 e ’60, i Misiano sono una grande, ricca famiglia (il padre Edoardo è un anziano e affermato avvocato in odore di nomina a membro della Corte Costituzionale, forse con la possibilità di diventarne Presidente, che ama ostentare tutti i segni esteriori del suo successo) che si “allargherà” strada facendo, in quanto i tre figli (Gianni, titolare di un avviato studio di commercialista, Paolo, impegnato in politica e deputato, Ranieri, giornalista di successo, l’unico scapolo dei tre) troveranno il modo di impegnarsi in storie extraconiugali o relazioni più o meno positive, più o meno felici, più o meno pericolose, da cui nascerà anche qualche altro figlio, a volte inizialmente di paternità incerta, che si andrà ad aggiungere alla numerosa prole già esistente e verrà, forse, accettato dalle consorti “regolari” più in nome della convenienza che dell’affetto.
Il periodo è quello recente della fine del berlusconismo, la Roma sullo sfondo è quella dei riferimenti e simboli borghesi più tipici (Via Condotti, i negozi “giusti”, i ristorantini tipici, la redazione del giornale di Ranieri, i palazzi del Potere), ma anche della decadenza della politica ormai delegittimata e quella un po’ sfatta e decadente che sta fisicamente subito dietro ai luoghi simbolo di benessere e ricchezza, e che ogni tanto compare, implacabile, a fare da contraltare all’apparente “grande bellezza”.
Quello che affascina nel romanzo, tutto narrato al presente, è la capacità dell’autore di mettere sotto osservazione, quasi “sotto vetro”, un’intera classe privilegiata, che, come giustamente ha osservato qualcuno, “dovrebbe” essere virtuosa anche solo in grazia degli ampi privilegi di cui gode e invece appare vuota, cinica, desiderosa solo di autoconservarsi, tutta dedita e presa da riti (tipico il saper preparare “un Gin Tonic a occhi chiusi”, di cui si vanta qualcuno), tic, manie, complessi, esibizionismi, interessi, invidie, antipatie e passioni che fanno comprendere quanto sia profondo e irreversibile il suo distacco dalla società reale.
Una borghesia nel complesso gretta, calcolatrice e spesso, pertanto, anaffettiva (esemplare è il rapporto tra i fratelli Misiano), anche nelle occasioni importanti come il decesso della matriarca (pure se, a dire il vero, qualche sprazzo di vera umanità ogni tanto compare, qui e là), il cui comportamento spiega, almeno in parte, il progressivo degrado della società contemporanea.
Un bell’affresco, istruttivo, divertente, spesso amaro, tratteggiato con puntuale precisione, mai disgiunta da una sottile ironia e soprattutto da una certa umana comprensione.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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