La mala vita. Lettera di un boss della camorra al figlio
Eh, sì, Maritiello o' Bellillo si compiace per tutto: dall'amicizia per don Raffaele (Cutolo) al fatto di essere stato il primo a introdurre nei Quartieri spagnoli l'abitudine di rapinare banche e gioiellieri a mano armata, dalla smania delle signore vip tutte smaniose di fare quattro salti nel suo letto all'attaccamento (davvero incomprensibile) di quella santa donna di sua moglie, dai soldi con cui si è sempre comprato tutto meno il buon gusto al rispetto di cui gode in carcere. Sono così forti il compiacimento di sé (palese) e l'autoassoluzione (latente) che a un certo punto non si capisce più dove stiano i buoni e i cattivi e che senso abbia guadagnarsi duramente la vita quando i milioni di euro sono lì, a portata di mano e basta agitare un kalashnikov per averli. E naturalmente o' Bellillo nonostante l'ergastolo ne esce come un eroe positivo. Altro che lettera al figlio per dissuaderlo!
Comunque è inutile sprecare tempo a spiegare che questo non è un buon libro. Perché le lungaggini, i predicozzi, le interminabili dissertazioni su concetti arcinoti, l'incapacità di rendere attraente perfino la malandrinaggine, lo rendono fin dalle prime pagine un libro noioso.
La mala vita. Lettera di un boss della camorra al figlio- Savio Venditti - mondadori
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