Intervista a Giuseppe Genna
Giuseppe Genna, milanese, classe 69, scrittore e non solo.
Come scrittore i libri che ha pubblicato sono riassunti (spero tutti) qua.
Come non solo, è stato consulente della Presidenza della Camera dei Deputati, curatore del sito web di Mondadori, tra i fondatori dellindimenticato portale Clarence, sceneggiatore per RaiTre, autore di teatro (Fabula Orphica, Museo Trascendentale), giurato alla Biennale di Venezia.
Oggi, in Rete, dà vita all'e-zine letterario i Miserabili, cura il sito (sotto la direzione di Valerio Evangelisti) Carmilla, entra nel pool esploso di contributori di Macchianera, il blog più letto del Web italiano, fondato - manco a dirlo - da Gianluca Neri.
Oggi, ci regala anche un nuovo testo, Italia De Profundis (Minimum Fax), di cui parleremo tra pochissimo
Ciao Giuseppe, grazie per questa intervista-conversazione. Comincio così: la storia non siamo noi, noi siamo i sogni, che si avverino o meno.
Nessuno si senta offeso, mi verrebbe da dire, tantomeno De Gregori, o Maurizio Seymandi. Ci parli della videomeditazione che hai proposto, disponibile qua?
GG: Si tratta di un corollario a Italia De Profundis, una sorta di azione parallela riguardo a uno dei livelli testuali, e cioè quello che concerne la rappresentazione del noi e i suoi rapporti con lio. Il tema è ambiguo e, dunque, la modalità di montaggio spinge verso lambiguità. Dal rapporto tra finzione (che per me non è inesperienziale) e realtà, al rapporto tra persona e personaggio, il video propone domande. Per questo il suo acme, almeno nelle intenzioni, è la scena fondamentale di Bennys Video di Haneke una violenza vera, rappresentata e quindi non vera, e però continuamente reale. Questa modalità rimbalza in meditazione su quanto e come rappresentare con la letteratura.
Quella scena di Haneke mi ha ricordato Kubrick. Ma la violenza vera, nel nostro tempo, quale è e come la si può rapresentare in letteratura?
GG: Qui si tratta di unaccezione molto particolare che io conferisco a quella potenza che si dice violenza. Perché mi interessa la scena di Haneke? Perché il video, la testimonianza della violenza, è inerte e privo di giudizio. E uguale a ciò che Spirit e Opportunity fanno su Marte: noi vediamo Marte come Haneke ci fa vedere quella stanza in cui si consuma un atto psichico indicibile, che è un omicidio chiesto da una suicida, per nichilismo e gioco e disperazione e, quindi, anche fede. Questo sguardo non è umano, anche se noi umani lo percepiamo. La violenza è tutto. Non esistesse la specie umana, lo scontro tra due galassie sarebbe violento senza che nessuno valutasse quella violenza. Sbalza, da ciò, il verso eschileo: Agire è soffrire, che si attaglia a qualunque cosa si muova in questo universo, animata o meno, compreso ma anche escluso lumano. La violenza è uno stato delle cose che il giudizio morale riporta, da unambiguità essenziale e naturale, allinterno del cerchio morale. Il giudizio morale stesso, quindi, è un atto di violenza: necessario, spesso ma deve esserci consapevolezza che è così.
Cosa è la Storia per te, e come entra nel tuo modo di narrare?
GG: E uno dei livelli testuali, che sono tutti embricati tra loro, divisibili luno dallaltro solo per indebita astrazione almeno nelle intenzioni, poi altro è lesito testuale, che può risultare fallimentare. La Storia è la vicenda del fantastico, il rimbalzo sulla domanda inerente la natura di se stessi e del rapporto col mondo. I fantasmi popolano la Storia, la vicenda umana è ambigua in quanto è assoluta finché cè lumano, ma non lo è affatto a fronte della certezza che la specie, prima o poi, finirà di esistere storicamente, mentre i suoi sogni no, la sua immaginazione no.
Ah! come siamo vivi come tutto accade per tutt'altri motivi.
A me viene da pensare che raccontare la storia è una scelta. Ci sono tanti percorsi, tanti bivi e vicoli ciechi. Cè anche chi ce la racconta con sfondo di cieli azzurri e sorrisi finti, e adesso la pubblicità. Con ITALIA De PROFUNDIS tu come ce la racconti?
GG: Trai questo verso da una canzone di Lucio Battisti, con testo di Pasquale Panella, che ho usato in uno dei booktrailer. La domanda che poni è difficile, perché io affronto un conflitto interno, che è quello tra narrazione e racconto della Storia. La narrazione è aperta, disposta a sperimentare, nellaccezione che do al termine; mentre il racconto è apparentemente concluso, in qualche modo leggibile anche linearmente, teso a piacere, a utilizzare qualunque dialettica che non pratichi il dissolvimento della dialettica stessa. Mi interessa la narrazione, che è fatta per salti, balzi, scarti, improvvise apparizioni di buchi neri, inesplicabilità, noia, stridìo, dolore, gioia esplosiva, sempre accadimenti che accadono per quali motivi? La realtà è viva, si vive la pubblicità racconta, non narra. La vita vivente e nervosa della cosa che percepiamo e che denominiamo realtà è un flusso di storie di storie, indefinite, ramificantisi. Se io blocco un frame di questa realtà e lo rappresento, passo a ciò che io chiamo racconto sono comunque destinato a fallire, perché la potenza di ciò che diviene mi farà incappare in uno scarto decisivo, prima o poi.
Viene da pensare che è impossibile raccontare il reale, perché qualcosa ti sfugge sempre, e se cerchi di incastonarlo, comunque fallisci.
GG: Prima proviamo a raccontare lio e vediamo se è possibile, se sfugge qualcosa, se si fallisce. Senza io, per lumano, dovè il reale?
Perché DE PROFUNDIS? Non cè più niente dopo? Neanche una speranza, una piccola fiammella? La verità, da qualche parte esiste?
GG: E un problema di questi giorni. Devo lavorare allIn Excelsis e non so come fare. Verranno altri libri, prima. Non è che non cè speranza, è che proprio mi sembra assurda e culturale la polarità speranza/disperazione è emotività. Il sogno trascende questa dialettica, spinge la storia verso lorizzonte sempre in divenire dellutopia.
I quattro booktrailer del libro IDP mi hanno lasciato un profondo senso di angoscia, e di disperazione. E una tra le tante, infinite possibili domande. Quante volte si può morire?
GG: Continuamente. Dal punto di vista identitario: continuamente. Appena si muore, si nasce, però. Posizione del tutto personale, sia chiaro.
Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere, dice Battiato.
Quale patria e quali abusi del potere? La patria non esiste e gli abusi del potere sono semplicemente il potere. E la classe dirigente fa la vita reale, la plasma, ce la presenta e dice: -Ecco, voi siete così e noi siamo così. Dunque, accontentatevi, dice Loriano Macchiavelli, in una conversazione di qualche giorno fa.
GG: Concordo completamente con lammiratissimo Loriano. La patria è unastrazione indebita, unacculturazione della violenza implicita che lumano desidera profondamente esplicitare. Sarebbe come dire che un sogno ha dei confini. Verrebbe da vivere. Il problema del potere è più complesso, però. Ogni atto che compio, e quindi anche la scrittura, sottintende che sto esercitando potere. La realizzazione del desiderio sembra abolitre il potere e lo invera. O si fa un lavoro su di sé e quindi non ci si sente estranei al potere, o tutto diventa separabile con atto di violenza.
Cosa è, cosa rappresenta per te lopera di Pier Paolo Pasolini?
GG: Caino.
Il fratello cattivo? Perché?
GG: Perché mi è fraterno nel darmi alcune chiavi di volta narrative e pensative, ma anche non induce al fenomeno della coscienza da cui emerge il fenomeno io per come leggo il Pasolini della Divina Mimesis, ma anche di Petrolio, cè un movimento di contraddizione, di lacerazione, di distruzione dellio, di definizione della morte che non mi appartiene. Del resto, io non sono Pasolini, non sto mica a quel livello letterario. Ma posso sottrarmi, nel momento in cui Pasolini e non può farne a meno è lautorità che invade il futuro attraverso latto culturale, anche se la volontà è quella di distruggere latto culturale. Qui io rinvengo una sorta di reazionariato pasoliniano (che non è laccusa di nostalgismo che gli si commina spesso) è che sa cosa fare con lambiguità, ha unidea piuttosto precisa di non risolverla, ma non è così che per me si lavora sullambiguità. La domanda deve essere posta dallambiguità, mentre in Pasolini io percepisco che Pasolini offre una domanda ambigua: è diverso, è implicitamente omicida sul piano culturale, come ogni padre oppure ogni fratello che non si centri nella posizione coscienziale.
De Cataldo una volta mi ha detto, a proposito del rapporto tra Storia e narrazione, e di Romanzo Criminale, di un tentativo, non nuovo e non originale (penso a Balzac, Flaubert, Tolstoi, Dickens, sino a Ellroy), di de-costruire la propaganda e ri-costruirla in chiave metaforica. La Storia è una grande miniera di conoscenze: soprattutto, a studiarla bene, ti svela tanti trucchi utilissimi ai fini drammaturgici. Che ne pensi?
GG: Sono assolutamente daccordo con De Cataldo. La sua operazione è linguisticamente interessante perché lo è politicamente: agisce con la storia raccontata per ridurla a narrazione di storie, spostando ogni metafora, ricostituendola. La sua narrazione allora diventa allegorica, diventa la storia del Potere, cioè una storia universale che non vale più solo per la Roma dai Settanta allinizio dei Novanta, e il Vecchio esonda, non è più nemmeno il Grande Vecchio della paranoia narrativa, bensì un concentrato di mitologie intorno a cui il fantastico secreto dallumano continua ad aggregarsi. De Cataldo, in questa dichiarazione, sta accennando a una tensione shakesperiana che sarebbe cieco non ravvisare.
Vorrei parlare di NIE, e di un tema che mi sta a cuore: i rischi di elitarismo. Su Anobii ne abbiamo discusso con Kai Zen, Sarasso, Dimitri e altri che spiace non citare. Questo rischio, secondo te c'è, se prendiamo la parola "elitaria" non in senso ristretto, ma la riferiamo al milione di persone che segue Saviano, che è lo stesso che legge molti libri, che è lo stesso che guarda Report, che è lo stesso che si preoccupa dell'Ambiente ecc ecc ecc? Insomma i soliti, pallosi comunisti, in fondo (tra i quali, me medesimo). Tristi, uh come sono tristi, e in fondo pochi, no? E gli altri 49 e passa milioni? Esiste ancora una vera cultura pop o ormai è stata soppiantata dalla cultura dell'isola dei famosi?
GG: Lisola dei famosi è letteratura non comprenderlo significa, credo, non comprendere una componente molto importante del memorandum di Wu Ming 1. Tu hai una situazione shakesperiana, che la tv mutua dalla letteratura. Hai lo Stronzo, la Puttana, la Pettegola, lAmbiziosa, il Volgare. Lisola è allegorica. Lallegoria si declina in una direzione sottoculturale, ma ciò che va fatto è ravvisare il nucleo allegorico e riportarlo al centro della rappresentazione. Rifiutare la sottocultura è assurdo: il pop non è mai né altoculturale né sottoculturale. Il pop esprime nuclei allegorici. Se poi essi non vengono intercettati, non è colpa se non di chi sarebbe preposto a intercettarli ed elaborarli: cioè gli artisti e gli intellettuali, in primis.
Questo porta a pensare ad una responsabilità degli artisti e degli intellettuali, nel sentirsi elitè e nello snobbare molte cose. Sarebbe utile riprendere in mano la lezione di Andy Warhol (ad es. Credo che sia un artista chiunque sappia fare bene una cosa; cucinare, per esempio.) o dei movimenti punk?
GG: Il problema dellarte è per me legato a una retorica specifica e a una possibilità di allusione al trascendimento. Cucinare, no. Cucinare nel tempo mitico è culturale e simbolico, stabilisce rapporti col dio. Ma questo è già uno sguardo da antropologo. Un cuoco è un cuoco, uno scrittore è uno scrittore. Dipende da cosa ci fai col tuo artigianato. Sono cose distantissime, per me. Laffermazione di Warhol nasce da una possibilità che è lestetica diffusa spettacolarmente: invera loggetto della sua critica.
In Italia si legge poco perchè per generazioni e generazioni, intellettuali e presunti tali, gonfi palloni pieni d'aria marcia, hanno martellato il fatto che la letteratura è educazione, è cultura, è intelletto. E finchè continuiamo a pensare che noi scrittori/lettori/critici siamo elite (elite buona e gentile, per carità, che deve amorevolmente arrivare alle masse, ma sempre elite), non avremo colto il punto., dice Francesco Dimitri. Che ne pensi?
GG: E ciò che rispondevo sopra. Sono daccordo fino a un certo punto, tuttavia. Nel senso che manca una domanda previa: perché gli intellettuali si sono comportati in questa maniera in un determinato periodo e in una determinata area geografica? A quale generazione anagrafica ci riferiamo? Che rapporto con lauctoritas è stato interrotto? Che rapporto damore è stato interrotto? Quale magistero affettivo è stato negato?
Come lavori quando scrivi un romanzo?
GG: Dipende dai romanzi. Generalmente studio moltissimo. Non scaletto quasi mai, tranne che in casi eccezionali (in Hitler era impossibile fare a meno di una scaletta), però ho in mente dove andare. Finora, una scena o unimmagine trascinano: voglio arrivare là e non so come farlo. Lo faccio, con paura di non riuscire. Scrivo molte ore al giorno, concentro la scrittura in periodi compatti, mentre scrivo continua a studiare, spesso faccio entrare casualità dovute alla cronaca in ciò che sto scrivendo.
Sei uno scrittore molto attento alla multimedialità. Il web 2.0 può essere unopportunità per loggettolibro? O sarò solo lennesimo canale promozionale che useranno tutti?
GG: Il Web 2.0 per me non esiste: è il Web che dispone di un accesso di banda maggiore rispetto a prima. Il problema del Web è individuare il suo specifico e fare arte con quello. Per quanto riguarda la comunicazione, è già avvenuta la rivoluzione. Se la specie non avrà problemi ben più seri nei prossimi anni (il che io credo), allora vedremo ulteriori rivoluzioni, prima delle quali, per quanto concerne leditoria, la distribuzione dei libri, il ritorno potente del catalogo, uno stravolgimento verso il basso della prezzatura.
Una curiosità: ti occupi tu direttamente della realizzazione dei tuoi booktrailer?
GG: Sì, certo, in maniera estremamente dilettantesca. Li chiamo booktrailer per comodità, ma non lo sono affatto: sono corollari tematici.
Non conoscendoti per niente, mi dai limpressione di essere, nei confronti di qualunque forma darte che apprezzi, una persona bulimica, che divora e si appropria, rielaborandola in modo personalissimo, di ogni cosa interessante che ti capiti a tiro. Sbaglio?
GG: Questo è lologramma Giuseppe Genna. O, anche, certo temperamento di Giuseppe Genna. In realtà cè un soggetto che scrive in cerca di amore, tentando di dare amore. A volte sperimenta per sperimentarsi e incontrare laltro. Lologramma risulta contraddittorio, iperbolico, bulimico appunto ma è ologramma, cioè fantasma. Io sono una narrazione, vale a dire che io è una narrazione.
Forse non sbaglio anche se dico sei un autore che vuole donarsi completamente, quasi appartenere al lettore. Vuoi essere questo?
GG: No. La mia posizione è: non sono lautore e chi legge non è chi legge. Dunque: chi siamo? Una madre lascia, in tempi nemmeno tanto antichi, il suo neonato alla Ruota degli Abbandonati e poi sparisce per sempre. Ha partorito quel figlio, verrà allevato da altri, camminerà nel mondo. Che centra quella madre con la sua vita? Io desidero labbraccio con chi legge attraverso il testo, ma in questo senso: coincidiamo in qualche parte in cui non sappiamo più dire né noi né io? Lì si dà un amore privo di oggetto, che ha una forte ricaduta sui comportamenti concreti, mondani cioè politici.
Loriano (Macchiavelli) dice: Allaspirante giovane (e anche vecchio, perché no?) scrittore consiglio di svegliarsi dal sogno. Il mestiere dello scrivere, per come lo vedo io, prevede un contatto con la realtà. Altro che sogno!
Che ne dici?
GG: Per me la realtà è un sogno apparentemente coerente. Non muta il rapporto fondamentale: soggetto che conosce | conoscenza | oggetto conosciuto. Quindi, non vedo differenze. Comprendo però cosa dice Macchiavelli, e concordo: il sogno della realtà, soprattutto in questo frangente, è molto importante.
Un autore che ami, e un suo libro. E perché. Uno solo, sopra tutti, però.
GG: Don DeLillo e il suo Body Art. Entra in ciò che non si sa, e dico che non si sa per ora. Lo fa indistintamente con stile di superficie, lingua profonda, sguardo, struttura. Enuncia letteralmente, è impossibile interpretare. Perturba. Toglie dallattaccamento psicologico, senza strappare con violenza. Scrive divinamente in maniera del tutto naturale. Cultura, natura, soprannaturale sono messi in cortocircuito senza che si avverta il peso di unintenzione. E la perfetta allegoria vuota. Specifico che ho scelto appositamente un testo contemporaneo. Altrimenti avrei detto Amerika di Kafka.
La musica che ascolti?
GG: Elettronica. E Glass e Part. Ora, soprattutto Murcof. Sentieri Selvaggi e il compositore Filippo Del Corno. Ma sono un profano.
Come ti sei avvicinato al mondo della scrittura? Quale è la prima cosa che hai scritto e hai fatto leggere a qualcuno con lidea di pubblicare e cosa ti hanno detto? Quando hai capito che potevi fare lo scrittore in senso professionale?
GG: Non è accaduto così. Fin da piccolo bazzicavo lambiente della poesia contemporanea. La pubblicazione è stato un processo senza difficoltà. Scrivere professionalmente è un incubo cui vorrei sottrarmi. La prima cosa scritta e mostrata, ma senza lidea di pubblicare, è stato un poemetto dato al poeta Antonio Porta, che mi prese e mi istruì. E tuttora la figura di riferimento, non edipica, che Valerio Evangelisti ha sostituito a distanza di anni. Laltro riferimento parallelo è per me inesplicabile ma effettivo, molto fraterno cioè Tommaso Pincio. Il collettivo Wu Ming mi ha insegnato il rapporto, labolizione del lavoro in solitaria, lartigianato di certe componenti fondamentali del narrare.
Hai dei sogni, e quali?
GG: Non ho nessun sogno in particolare: ho tutti i sogni. Soprattutto che regni lamore, ovunque, continuamente. Non è possibile, luomo non si accorge che lodio è una forma di amore. Io stesso non realizzo questo sogno, perché sono umano, troppo umano, a volte al di sotto dellumano.
Grazie!
Come scrittore i libri che ha pubblicato sono riassunti (spero tutti) qua.
Come non solo, è stato consulente della Presidenza della Camera dei Deputati, curatore del sito web di Mondadori, tra i fondatori dellindimenticato portale Clarence, sceneggiatore per RaiTre, autore di teatro (Fabula Orphica, Museo Trascendentale), giurato alla Biennale di Venezia.
Oggi, in Rete, dà vita all'e-zine letterario i Miserabili, cura il sito (sotto la direzione di Valerio Evangelisti) Carmilla, entra nel pool esploso di contributori di Macchianera, il blog più letto del Web italiano, fondato - manco a dirlo - da Gianluca Neri.
Oggi, ci regala anche un nuovo testo, Italia De Profundis (Minimum Fax), di cui parleremo tra pochissimo
Ciao Giuseppe, grazie per questa intervista-conversazione. Comincio così: la storia non siamo noi, noi siamo i sogni, che si avverino o meno.
Nessuno si senta offeso, mi verrebbe da dire, tantomeno De Gregori, o Maurizio Seymandi. Ci parli della videomeditazione che hai proposto, disponibile qua?
GG: Si tratta di un corollario a Italia De Profundis, una sorta di azione parallela riguardo a uno dei livelli testuali, e cioè quello che concerne la rappresentazione del noi e i suoi rapporti con lio. Il tema è ambiguo e, dunque, la modalità di montaggio spinge verso lambiguità. Dal rapporto tra finzione (che per me non è inesperienziale) e realtà, al rapporto tra persona e personaggio, il video propone domande. Per questo il suo acme, almeno nelle intenzioni, è la scena fondamentale di Bennys Video di Haneke una violenza vera, rappresentata e quindi non vera, e però continuamente reale. Questa modalità rimbalza in meditazione su quanto e come rappresentare con la letteratura.
Quella scena di Haneke mi ha ricordato Kubrick. Ma la violenza vera, nel nostro tempo, quale è e come la si può rapresentare in letteratura?
GG: Qui si tratta di unaccezione molto particolare che io conferisco a quella potenza che si dice violenza. Perché mi interessa la scena di Haneke? Perché il video, la testimonianza della violenza, è inerte e privo di giudizio. E uguale a ciò che Spirit e Opportunity fanno su Marte: noi vediamo Marte come Haneke ci fa vedere quella stanza in cui si consuma un atto psichico indicibile, che è un omicidio chiesto da una suicida, per nichilismo e gioco e disperazione e, quindi, anche fede. Questo sguardo non è umano, anche se noi umani lo percepiamo. La violenza è tutto. Non esistesse la specie umana, lo scontro tra due galassie sarebbe violento senza che nessuno valutasse quella violenza. Sbalza, da ciò, il verso eschileo: Agire è soffrire, che si attaglia a qualunque cosa si muova in questo universo, animata o meno, compreso ma anche escluso lumano. La violenza è uno stato delle cose che il giudizio morale riporta, da unambiguità essenziale e naturale, allinterno del cerchio morale. Il giudizio morale stesso, quindi, è un atto di violenza: necessario, spesso ma deve esserci consapevolezza che è così.
Cosa è la Storia per te, e come entra nel tuo modo di narrare?
GG: E uno dei livelli testuali, che sono tutti embricati tra loro, divisibili luno dallaltro solo per indebita astrazione almeno nelle intenzioni, poi altro è lesito testuale, che può risultare fallimentare. La Storia è la vicenda del fantastico, il rimbalzo sulla domanda inerente la natura di se stessi e del rapporto col mondo. I fantasmi popolano la Storia, la vicenda umana è ambigua in quanto è assoluta finché cè lumano, ma non lo è affatto a fronte della certezza che la specie, prima o poi, finirà di esistere storicamente, mentre i suoi sogni no, la sua immaginazione no.
Ah! come siamo vivi come tutto accade per tutt'altri motivi.
A me viene da pensare che raccontare la storia è una scelta. Ci sono tanti percorsi, tanti bivi e vicoli ciechi. Cè anche chi ce la racconta con sfondo di cieli azzurri e sorrisi finti, e adesso la pubblicità. Con ITALIA De PROFUNDIS tu come ce la racconti?
GG: Trai questo verso da una canzone di Lucio Battisti, con testo di Pasquale Panella, che ho usato in uno dei booktrailer. La domanda che poni è difficile, perché io affronto un conflitto interno, che è quello tra narrazione e racconto della Storia. La narrazione è aperta, disposta a sperimentare, nellaccezione che do al termine; mentre il racconto è apparentemente concluso, in qualche modo leggibile anche linearmente, teso a piacere, a utilizzare qualunque dialettica che non pratichi il dissolvimento della dialettica stessa. Mi interessa la narrazione, che è fatta per salti, balzi, scarti, improvvise apparizioni di buchi neri, inesplicabilità, noia, stridìo, dolore, gioia esplosiva, sempre accadimenti che accadono per quali motivi? La realtà è viva, si vive la pubblicità racconta, non narra. La vita vivente e nervosa della cosa che percepiamo e che denominiamo realtà è un flusso di storie di storie, indefinite, ramificantisi. Se io blocco un frame di questa realtà e lo rappresento, passo a ciò che io chiamo racconto sono comunque destinato a fallire, perché la potenza di ciò che diviene mi farà incappare in uno scarto decisivo, prima o poi.
Viene da pensare che è impossibile raccontare il reale, perché qualcosa ti sfugge sempre, e se cerchi di incastonarlo, comunque fallisci.
GG: Prima proviamo a raccontare lio e vediamo se è possibile, se sfugge qualcosa, se si fallisce. Senza io, per lumano, dovè il reale?
Perché DE PROFUNDIS? Non cè più niente dopo? Neanche una speranza, una piccola fiammella? La verità, da qualche parte esiste?
GG: E un problema di questi giorni. Devo lavorare allIn Excelsis e non so come fare. Verranno altri libri, prima. Non è che non cè speranza, è che proprio mi sembra assurda e culturale la polarità speranza/disperazione è emotività. Il sogno trascende questa dialettica, spinge la storia verso lorizzonte sempre in divenire dellutopia.
I quattro booktrailer del libro IDP mi hanno lasciato un profondo senso di angoscia, e di disperazione. E una tra le tante, infinite possibili domande. Quante volte si può morire?
GG: Continuamente. Dal punto di vista identitario: continuamente. Appena si muore, si nasce, però. Posizione del tutto personale, sia chiaro.
Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere, dice Battiato.
Quale patria e quali abusi del potere? La patria non esiste e gli abusi del potere sono semplicemente il potere. E la classe dirigente fa la vita reale, la plasma, ce la presenta e dice: -Ecco, voi siete così e noi siamo così. Dunque, accontentatevi, dice Loriano Macchiavelli, in una conversazione di qualche giorno fa.
GG: Concordo completamente con lammiratissimo Loriano. La patria è unastrazione indebita, unacculturazione della violenza implicita che lumano desidera profondamente esplicitare. Sarebbe come dire che un sogno ha dei confini. Verrebbe da vivere. Il problema del potere è più complesso, però. Ogni atto che compio, e quindi anche la scrittura, sottintende che sto esercitando potere. La realizzazione del desiderio sembra abolitre il potere e lo invera. O si fa un lavoro su di sé e quindi non ci si sente estranei al potere, o tutto diventa separabile con atto di violenza.
Cosa è, cosa rappresenta per te lopera di Pier Paolo Pasolini?
GG: Caino.
Il fratello cattivo? Perché?
GG: Perché mi è fraterno nel darmi alcune chiavi di volta narrative e pensative, ma anche non induce al fenomeno della coscienza da cui emerge il fenomeno io per come leggo il Pasolini della Divina Mimesis, ma anche di Petrolio, cè un movimento di contraddizione, di lacerazione, di distruzione dellio, di definizione della morte che non mi appartiene. Del resto, io non sono Pasolini, non sto mica a quel livello letterario. Ma posso sottrarmi, nel momento in cui Pasolini e non può farne a meno è lautorità che invade il futuro attraverso latto culturale, anche se la volontà è quella di distruggere latto culturale. Qui io rinvengo una sorta di reazionariato pasoliniano (che non è laccusa di nostalgismo che gli si commina spesso) è che sa cosa fare con lambiguità, ha unidea piuttosto precisa di non risolverla, ma non è così che per me si lavora sullambiguità. La domanda deve essere posta dallambiguità, mentre in Pasolini io percepisco che Pasolini offre una domanda ambigua: è diverso, è implicitamente omicida sul piano culturale, come ogni padre oppure ogni fratello che non si centri nella posizione coscienziale.
De Cataldo una volta mi ha detto, a proposito del rapporto tra Storia e narrazione, e di Romanzo Criminale, di un tentativo, non nuovo e non originale (penso a Balzac, Flaubert, Tolstoi, Dickens, sino a Ellroy), di de-costruire la propaganda e ri-costruirla in chiave metaforica. La Storia è una grande miniera di conoscenze: soprattutto, a studiarla bene, ti svela tanti trucchi utilissimi ai fini drammaturgici. Che ne pensi?
GG: Sono assolutamente daccordo con De Cataldo. La sua operazione è linguisticamente interessante perché lo è politicamente: agisce con la storia raccontata per ridurla a narrazione di storie, spostando ogni metafora, ricostituendola. La sua narrazione allora diventa allegorica, diventa la storia del Potere, cioè una storia universale che non vale più solo per la Roma dai Settanta allinizio dei Novanta, e il Vecchio esonda, non è più nemmeno il Grande Vecchio della paranoia narrativa, bensì un concentrato di mitologie intorno a cui il fantastico secreto dallumano continua ad aggregarsi. De Cataldo, in questa dichiarazione, sta accennando a una tensione shakesperiana che sarebbe cieco non ravvisare.
Vorrei parlare di NIE, e di un tema che mi sta a cuore: i rischi di elitarismo. Su Anobii ne abbiamo discusso con Kai Zen, Sarasso, Dimitri e altri che spiace non citare. Questo rischio, secondo te c'è, se prendiamo la parola "elitaria" non in senso ristretto, ma la riferiamo al milione di persone che segue Saviano, che è lo stesso che legge molti libri, che è lo stesso che guarda Report, che è lo stesso che si preoccupa dell'Ambiente ecc ecc ecc? Insomma i soliti, pallosi comunisti, in fondo (tra i quali, me medesimo). Tristi, uh come sono tristi, e in fondo pochi, no? E gli altri 49 e passa milioni? Esiste ancora una vera cultura pop o ormai è stata soppiantata dalla cultura dell'isola dei famosi?
GG: Lisola dei famosi è letteratura non comprenderlo significa, credo, non comprendere una componente molto importante del memorandum di Wu Ming 1. Tu hai una situazione shakesperiana, che la tv mutua dalla letteratura. Hai lo Stronzo, la Puttana, la Pettegola, lAmbiziosa, il Volgare. Lisola è allegorica. Lallegoria si declina in una direzione sottoculturale, ma ciò che va fatto è ravvisare il nucleo allegorico e riportarlo al centro della rappresentazione. Rifiutare la sottocultura è assurdo: il pop non è mai né altoculturale né sottoculturale. Il pop esprime nuclei allegorici. Se poi essi non vengono intercettati, non è colpa se non di chi sarebbe preposto a intercettarli ed elaborarli: cioè gli artisti e gli intellettuali, in primis.
Questo porta a pensare ad una responsabilità degli artisti e degli intellettuali, nel sentirsi elitè e nello snobbare molte cose. Sarebbe utile riprendere in mano la lezione di Andy Warhol (ad es. Credo che sia un artista chiunque sappia fare bene una cosa; cucinare, per esempio.) o dei movimenti punk?
GG: Il problema dellarte è per me legato a una retorica specifica e a una possibilità di allusione al trascendimento. Cucinare, no. Cucinare nel tempo mitico è culturale e simbolico, stabilisce rapporti col dio. Ma questo è già uno sguardo da antropologo. Un cuoco è un cuoco, uno scrittore è uno scrittore. Dipende da cosa ci fai col tuo artigianato. Sono cose distantissime, per me. Laffermazione di Warhol nasce da una possibilità che è lestetica diffusa spettacolarmente: invera loggetto della sua critica.
In Italia si legge poco perchè per generazioni e generazioni, intellettuali e presunti tali, gonfi palloni pieni d'aria marcia, hanno martellato il fatto che la letteratura è educazione, è cultura, è intelletto. E finchè continuiamo a pensare che noi scrittori/lettori/critici siamo elite (elite buona e gentile, per carità, che deve amorevolmente arrivare alle masse, ma sempre elite), non avremo colto il punto., dice Francesco Dimitri. Che ne pensi?
GG: E ciò che rispondevo sopra. Sono daccordo fino a un certo punto, tuttavia. Nel senso che manca una domanda previa: perché gli intellettuali si sono comportati in questa maniera in un determinato periodo e in una determinata area geografica? A quale generazione anagrafica ci riferiamo? Che rapporto con lauctoritas è stato interrotto? Che rapporto damore è stato interrotto? Quale magistero affettivo è stato negato?
Come lavori quando scrivi un romanzo?
GG: Dipende dai romanzi. Generalmente studio moltissimo. Non scaletto quasi mai, tranne che in casi eccezionali (in Hitler era impossibile fare a meno di una scaletta), però ho in mente dove andare. Finora, una scena o unimmagine trascinano: voglio arrivare là e non so come farlo. Lo faccio, con paura di non riuscire. Scrivo molte ore al giorno, concentro la scrittura in periodi compatti, mentre scrivo continua a studiare, spesso faccio entrare casualità dovute alla cronaca in ciò che sto scrivendo.
Sei uno scrittore molto attento alla multimedialità. Il web 2.0 può essere unopportunità per loggettolibro? O sarò solo lennesimo canale promozionale che useranno tutti?
GG: Il Web 2.0 per me non esiste: è il Web che dispone di un accesso di banda maggiore rispetto a prima. Il problema del Web è individuare il suo specifico e fare arte con quello. Per quanto riguarda la comunicazione, è già avvenuta la rivoluzione. Se la specie non avrà problemi ben più seri nei prossimi anni (il che io credo), allora vedremo ulteriori rivoluzioni, prima delle quali, per quanto concerne leditoria, la distribuzione dei libri, il ritorno potente del catalogo, uno stravolgimento verso il basso della prezzatura.
Una curiosità: ti occupi tu direttamente della realizzazione dei tuoi booktrailer?
GG: Sì, certo, in maniera estremamente dilettantesca. Li chiamo booktrailer per comodità, ma non lo sono affatto: sono corollari tematici.
Non conoscendoti per niente, mi dai limpressione di essere, nei confronti di qualunque forma darte che apprezzi, una persona bulimica, che divora e si appropria, rielaborandola in modo personalissimo, di ogni cosa interessante che ti capiti a tiro. Sbaglio?
GG: Questo è lologramma Giuseppe Genna. O, anche, certo temperamento di Giuseppe Genna. In realtà cè un soggetto che scrive in cerca di amore, tentando di dare amore. A volte sperimenta per sperimentarsi e incontrare laltro. Lologramma risulta contraddittorio, iperbolico, bulimico appunto ma è ologramma, cioè fantasma. Io sono una narrazione, vale a dire che io è una narrazione.
Forse non sbaglio anche se dico sei un autore che vuole donarsi completamente, quasi appartenere al lettore. Vuoi essere questo?
GG: No. La mia posizione è: non sono lautore e chi legge non è chi legge. Dunque: chi siamo? Una madre lascia, in tempi nemmeno tanto antichi, il suo neonato alla Ruota degli Abbandonati e poi sparisce per sempre. Ha partorito quel figlio, verrà allevato da altri, camminerà nel mondo. Che centra quella madre con la sua vita? Io desidero labbraccio con chi legge attraverso il testo, ma in questo senso: coincidiamo in qualche parte in cui non sappiamo più dire né noi né io? Lì si dà un amore privo di oggetto, che ha una forte ricaduta sui comportamenti concreti, mondani cioè politici.
Loriano (Macchiavelli) dice: Allaspirante giovane (e anche vecchio, perché no?) scrittore consiglio di svegliarsi dal sogno. Il mestiere dello scrivere, per come lo vedo io, prevede un contatto con la realtà. Altro che sogno!
Che ne dici?
GG: Per me la realtà è un sogno apparentemente coerente. Non muta il rapporto fondamentale: soggetto che conosce | conoscenza | oggetto conosciuto. Quindi, non vedo differenze. Comprendo però cosa dice Macchiavelli, e concordo: il sogno della realtà, soprattutto in questo frangente, è molto importante.
Un autore che ami, e un suo libro. E perché. Uno solo, sopra tutti, però.
GG: Don DeLillo e il suo Body Art. Entra in ciò che non si sa, e dico che non si sa per ora. Lo fa indistintamente con stile di superficie, lingua profonda, sguardo, struttura. Enuncia letteralmente, è impossibile interpretare. Perturba. Toglie dallattaccamento psicologico, senza strappare con violenza. Scrive divinamente in maniera del tutto naturale. Cultura, natura, soprannaturale sono messi in cortocircuito senza che si avverta il peso di unintenzione. E la perfetta allegoria vuota. Specifico che ho scelto appositamente un testo contemporaneo. Altrimenti avrei detto Amerika di Kafka.
La musica che ascolti?
GG: Elettronica. E Glass e Part. Ora, soprattutto Murcof. Sentieri Selvaggi e il compositore Filippo Del Corno. Ma sono un profano.
Come ti sei avvicinato al mondo della scrittura? Quale è la prima cosa che hai scritto e hai fatto leggere a qualcuno con lidea di pubblicare e cosa ti hanno detto? Quando hai capito che potevi fare lo scrittore in senso professionale?
GG: Non è accaduto così. Fin da piccolo bazzicavo lambiente della poesia contemporanea. La pubblicazione è stato un processo senza difficoltà. Scrivere professionalmente è un incubo cui vorrei sottrarmi. La prima cosa scritta e mostrata, ma senza lidea di pubblicare, è stato un poemetto dato al poeta Antonio Porta, che mi prese e mi istruì. E tuttora la figura di riferimento, non edipica, che Valerio Evangelisti ha sostituito a distanza di anni. Laltro riferimento parallelo è per me inesplicabile ma effettivo, molto fraterno cioè Tommaso Pincio. Il collettivo Wu Ming mi ha insegnato il rapporto, labolizione del lavoro in solitaria, lartigianato di certe componenti fondamentali del narrare.
Hai dei sogni, e quali?
GG: Non ho nessun sogno in particolare: ho tutti i sogni. Soprattutto che regni lamore, ovunque, continuamente. Non è possibile, luomo non si accorge che lodio è una forma di amore. Io stesso non realizzo questo sogno, perché sono umano, troppo umano, a volte al di sotto dellumano.
Grazie!