Sullo sfondo inquietante di uno scenario Europeo dettagliatamente ricostruito e che abbraccia più di un secolo Luigi De Pascalis ambienta il lungo e pericoloso viaggio di un giovane frate francescano, Giustino. L’indispensabile percorso di preparazione e crescita morale di un ventenne imbevuto di fede, e ciò nondimeno prescelto per accollarsi un fardello di grande apertura mentale imposto da una antica eredità di sapere. Allora una dura eredità, preceduta e accompagnata, come ben la descrive l’autore, da “una danza tenebrosa, con torbida compagnia di spie, sicofanti, birri, staffette, fiduciari e ambasciatori”, poi seguita e circonfusa dall’orrore, dal mostruoso massacro religioso europeo, indotto dalla controriforma. Fino all’abominio che vide la perversa negazione della umana conoscenza di cui fu esempio la condanna inflitta a Giordano Bruno…
Un coinvolgente e ispirato racconto, in cui la perfetta ambientazione e la colta ricostruzione storica accolgono con generosità la trama romanzesca. Un bel narrare, preannunciato da un’antifona introduttiva atta a presentare la tragica ed epica lotta tra due personaggi, due famosi cardinali, l’inglese, Thomas Wolsey, cancelliere di Enrico VIII , e l’italiano, Adriano Castellesi da Corneto, gran letterato, diplomatico che fu in contatto con quasi tutti i potenti dei suoi tempi. Due personaggi divisi in vita da un odio implacabile, ma legati e uniti anche nella morte da un misterioso identico enigma. che presto scopriremo essere causa incidentale di tutta la storia. Antifona che prosegue gagliardamente con un salto temporale, narrato secondo i diversi punti di vista di vari personaggi e scandito, quasi fosse il computo materiale di una giornata in un monastero, o meglio diviso in Mattutino, Laudi, Horamedia, Vespri e Compieta.
Fu nel 1573, a San Martino di Saltara, nei pressi di Fano, alla vigilia della nascita di Nostro Signore, che il giovane francescano Giustino, segretario da due anni di Vincenzo Negusanti vescovo d’Arbe, conobbe l’anziano monaco agostiniano, il sessantaquattrenne Quodvultdeus, accorso pochi giorni prima dal convento agostiniano di Santo Stefano, a Venezia, dove risiedeva ormai da lungo tempo. Per tanti anni prima di Giustino, Quodvultdeus era stato il segretario del vescovo e questi, quando si era sentito vicino alla fine, aveva sollecitato il suo ritorno. E fino al suo ultimo respiro i due religiosi vegliarono insieme per giorni, fianco a fianco, cercando di alleviare la sofferta agonia del vecchio vescovo che ormai contava 86 anni. E prima di congedarsi e partire, intervennero ai solenni funerali officiati nella cattedrale di Fano.
E sarà solo dopo, all’Eremo di Monte Giove. dove si sono fermati per riposare, che Giustino si accollerà l’onere di farsi braccia, occhi e sostegno fisico del frate agostiniano, ormai troppo vecchio e debole per proseguire il suo cammino da solo. Poi, dopo averlo ascoltato in confessione, animato da spirito di fratellanza e carità, accoglierà la sua richiesta di accompagnarlo in quello che dovrebbe essere un viaggio per adempiere a un voto fatto al capezzale del vescovo morente. Voto, o meglio quasi un testamento morale del vescovo d’Arbe, collegato a precise indicazioni del diario di Adriano Castellesi, zio del defunto vescovo, di intraprendere subito un lungo viaggio con per meta finale Volterra per rimediare a una lontana colpa, per arrivare a scoprire tutta la verità sulla sua morte e quella del suo peggior nemico, l’inglese cardinale Wosley. Un viaggio che cela anche un secondo e segreto scopo: il ritrovamento di un misterioso libro, l’ antico libro scritto da Celso, filosofo greco allievo di Platone, che faceva parte della biblioteca reale di Enrico VII e dal sovrano inglese donato ad Adriano Castellesi…
Quodvultdeus infatti, il cui nome prima di farsi monaco era Guiduccio da Narni, coinvolgerà fra’ Giustino, sfidando i rigori dell’inverno, anche in una lunga e perigliosa ricerca che li condurrà al di là degli Appennini, alla caccia di un antico e inestimabile manoscritto: La vera dottrina di Celso, un libro tanto rivoluzionario da essere in grado di cambiare il mondo?
Nulla potrà fermarli nè pioggia né freddo né neve, né gelo, ma la strada è lunga. Molto lunga. Fossombrone, Urbino Castel Durante, Sant’Angelo in Vado, il passo di Bocca Trabaria per passare oltre gli Appennini, trovare aiuto e una via di fuga all’Abbazia di San Salvatore. Per poi arrivare a San Galgano, superare la splendida immane Abbazia ormai verso la decadenza e l’abbandono e raggiungere infine Volterra. Ma là, consci ormai di essersi trasformati nell’ambita preda di un eterogeneo stuolo di cacciatori, sporchi assassini al soldo dei più potenti Stati europei con ognuno che serve un diverso padrone. Sulle loro tracce, infatti ci sono gli inglesi, guidati dallo sfrenato fratellastro di Elisabetta, Thomas Wallace, Sir Stuckley detto il Poeta, il bastardo mai riconosciuto di Enrico VIII, affiancato dall’ astrologo John Dee, i francesi, comandati da de Grenet, i pontifici nella persona di un ebreo convertito e Mathias, e il pericoloso mercenario al soldo di due padroni. Tutti vogliono quel misterioso libro e incalzano, incollati alle loro calcagna. Sono ormai troppo vicini arrivati a un pelo da incastrarli. A ogni costo i due religiosi devono riuscire a liberarsi dei loro inseguitori. Ragion per cui, lasciata Volterra, più ricchi solo di informazioni e diretti a Corneto, divenuta la loro nuova meta, sceglieranno di andare per mare.
Un libro, quello di Celso, che confuta e respinge le regole del cattolicesimo. Voluto da molti e che forse usato dal cardinale Castellesi avrebbe potuto cambiare il destino dell’umanità? Si ritiene che potrebbe farlo ancora? Riusciranno i due monaci secondo le indicazioni di Nagusanti vescovo di Arbi e nipote prediletto di Adriano Castellesi a individuare dove si nasconde e a sfuggire ai sicari di mezza Europa.
Tra imboscate e fughe rocambolesche, Giustino ormai coscritto e incatenato nei compiti e i doveri che spettano all’ ultimo Palascio dalla “Fratellanza”, aprirà la mente al libero pensiero, al vero significato della soave poesia del Cantico dei Cantici, scoprendosi più possibilista e consapevole dell’intrinseco potere di certa verità contenuta nel libro di Celso.
Con la sua eccezionale capacità nel ricostruire puntualmente il contesto storico e con la sua ampia visione che ci costringe a riflettere, Luigi de Pascalis ci porta per mano a riscoprire nel terribile racconto del passato quelle motivazioni spesso cattive o addirittura perverse che hanno guidato una serie di azioni umane. Magari queste pagine potrebbero offrirci qualche suggerimento per controbattere la meschinità di certe mentalità, di certe ristrettezze mentali? Farci immaginare, sperare in un diverso futuro? Ma ohimè la storia e gli errori commessi in passato non insegnano niente. Si potrebbe provare a correggere il presente? A convincere la gente ad aprirsi al prossimo, ad accettarne le idee se pur diverse dalla nostre? A mostrarci aperti , tolleranti. Mai dire mai…
(Recensione non facile da scrivere questa mia che mi ha costretto a un ampio e approfondito ripasso storico, ambientale e filosofico. Cosa tuttavia sempre utile e gradita, per cui grazie Luigi).
Luigi de Pascalis ha vinto numerosi premi letterari tra cui due volte il Premio Italia e il premio Acqui per il migliore romanzo storico; è stato finalista al Premio Camaiore e candidato al Premio Strega. È autore di numerosi romanzi e saggi storici. Con la Newton Compton ha pubblicato Il sigillo di Caravaggio, Il pittore maledetto e La congrega segreta.
.Nota storica: Celso, filosofo platonico del sec. 2°. Tra gli autori che nella Tarda Antichità scrissero contro la dottrina cristiana, è quello di cui dispone di maggior testimonianza , a causa della dettagliata confutazione della sua opera, ᾽Αληϑὴς λόγος («Discorso vero»; trad. it. Contro i cristiani) compilata nel 248 ca. da Origene, nel suo Contra Celsum.