La Genova male



matteo monforte
La Genova male
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Se siete stati folgorati da Il meglio che possa capitare a una brioche di Pablo Tusset non potrà non piacervi questo giallo di Matteo Monforte, che si cimenta col genere giallo dopo i testi per la televisione e i pezzi per comici.
Dal libro di Tusset è mutuato il carattere un po’ stravagante del protagonista e la resa della città che fa da sfondo a tutta la vicenda, mentre la storia è assolutamente originale.

Sin dall’inizio facciamo la conoscenza di Martino Rebowsky, “trombettista pigro, misogino, sporcaccione e sempre più grasso” che farà da io narrante e compiaciuto brontolone per tutto il corso dell’indagine, in virtù della sua amicizia con Alessandro Costa, commissario della Mobile di Genova. Terza protagonista è Marta Soleri, la ragazza uccisa.
Inizialmente la sua morte viene creduta un suicidio, ma da subito iniziano a esserci troppi particolari che non quadrano. La stessa vita della Soleri è molto più complicata di quella delle sue compagne di università: ha un fidanzato spacciatore e manesco e una doppia vita di cui nessuno è al corrente e che ha in Leila, forse, la chiave della soluzione.

La sensazione è quella di essere al centro di una vera inchiesta, con le false piste, la mancanza di indizi, le mezze verità, le ripicche, i colpi di fortuna che aiutano a sbrogliare la matassa e la scocciatura di lavorare mentre gli altri sono al mare e Genova ha la temperatura di una fornace.

La città è onnipresente: tutta la storia si articola nell’ufficio del commissario e presso il Vecchio e il Mare, locale realmente esistente; talvolta vengono usati termini dialettali e molti luoghi sono facilmente riconoscibili. Aiutano soprattutto a rendere la compenetrazione della Genova bene dei quartieri signorili e di chi può comprarsi un alibi all’occorrenza con la Genova male del titolo, dei quartieri popolari e di tutto il popolo borderline che lo abita.

A fare da contrappunto all’indagine, Rebowsky e le sue sbronze, le Colazioni del Campione, il lavoro da trombettista nei locali notturni, le liti con la madre e le avventure oniriche con Charlize Teron.

Il suo ego e la sua prevaricazione verbale rendono una sua spalla l’umanissimo commissario Costa, con le sue debolezze e il suo cattivo umore, soprattutto quando viene amichevolmente deriso da Rebowsky, che gioca con lui quando sa che può dargli una informazione per lui decisiva. Ma anche Costa, alla fine, saprà prendersi la sua rivincita e dimostrerà di non essere solo uno sbirro deluso dal suo lavoro.

Lo svolgimento è lineare e la scrittura fluida e piacevole, tanto che è estremamente difficile abbandonare la lettura una volta cominciata perché si prova una istintiva simpatia per i protagonisti.

Infine, godibilissimi i titoli dei capitoli, che rendono bene il ritmo della vicenda. Cosa dire d’altro? Lunga vita al duo Rebowsky & Costa, speriamo di leggere presto altre loro avventure!

sabrina pittaluga

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