La maestra



Lisa Hilton
La maestra
Longanesi
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La prima sensazione è di déjà vu, ma le sfumature non c’entrano. Nel 1985, leggendo “Meno di zero” di Bret Easton Ellis, rimasi colpito, oltre che dalla lucida follia del romanzo, dalla continua citazione di marchi e griffe. Per la prima volta non si bevevano generiche birre, ma “Beck’s”. Trentun’anni dopo “Maestra”, thriller-erotico di Lisa Hilton (Longanesi), m’ha fatto lo stesso effetto. La prima cosa a imprimersi nella mia mente, infatti, non sono stati gli amplessi e il richiamo quasi scontato alle più celebri sfumature, ma l’ostinazione dell’autrice nel voler attribuire nomi e cognomi a tutto: “Rolex”, “Rolls Royce”, “Rai Ban” ecc… Marche e marchette, verrebbe da dire, valutato che la protagonista si concede spesso e volentieri. Dovrebbe lavorare in una casa d’aste londinese, ma scopre (?!) che facendo compagnia a clienti facoltosi con indosso autoreggenti e perizoma, è in grado di guadagnare soldi facili. Un po’ debole il plot, francamente, per giustificare tutto questo clamore mondiale. Si tratta di una trilogia che, anticipano i giornali, sbarcherà pure a Holliwood. E anche se ci sono i morti a ricordarci stiamo leggendo un thriller (un mistery, direi) e la protagonista vestirà i panni della dark lady, con licenza di uccidere, il sesso spinto condito di manette e altri toys resta lì in sottofondo (non in primo piano come ci vorrebbero far credere). Se fosse una canzone sarebbe “Sweet Dreams” degli Eurythmics. E siccome parliamo di una canzone elegante, ciò significa che “Maestra” per me non è stata una spiacevole lettura. Il testo scorre, la trama, seppur facile, più o meno tiene e l’ambientazione che comprende l’Italia, anche. Però… però la prima sensazione è di déjà vu (e B. E. Ellis è tutta un’altra cosa, leggetelo se per caso non lo conoscete). Voto: 6.

 

Alessandro Garavaldi

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