La morte come un’opera d’arte: intervista a Letizia Triches

Verde napoletano è lo straordinario esordio narrativo di Letizia Triches. Un giallo appassionante ambientato nella Napoli degli anni Ottanta. Due donne che nascondono segreti e desideri. Due pittori morti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro: Giovanni Aiello, artista di grande talento ma di scarsa fortuna, e il famoso Michele Mosti, ucciso insieme alla sua giovane amante secondo un rituale raccapricciante, costruito come un’opera d’arte. Critici potenti, fragili antiquari, mercanti senza scrupoli, filosofi e giovani di belle speranze si aggirano sullo sfondo di una città inquieta, dove nulla è come appare.

Ciao Letizia, benvenuta su Milanonera. Per prima cosa vorrei chiederti chi è Letizia Triches? E una curiosità, come si pronuncia il tuo cognome?
Bisogna seguire gli indizi. Chi ha fatto studi classici si ricorderà che, in greco antico, il significato della parola “triches” era “capelli”. Chi, invece, conosce il francese penserà a una qualche influenza parigina e pronuncerà il mio cognome “trisce” senza accentare la e. Ma solo a uno spirito acuto verrà in mente di osservare con attenzione una cartina geografica del Veneto, per scoprire che, in provincia di Belluno, esiste un paesino. Si chiama Triches e significa “tre case”. E’ da lì che provengono i miei italianissimi antenati.

I due personaggi femminili emergono tra le pagine nella loro forza e fragilità. A tratti ci si ritrova nelle loro insicurezze e nevrosi, così umane che pare quasi di conoscerle. Ci puoi svelare come hai lavorato alla costruzione dei personaggi?
Io le ho conosciute, anche se non così a fondo come appare nel romanzo. Le pieghe più segrete della loro anima sono l’esito di una fantasia letteraria. Mi piace osservare la gente. Seduta al tavolino di un bar o in una poltrona al cinema, cerco di non lasciarmi sfuggire nulla di chi mi sta intorno. E trascrivo tutto nel mio taccuino di appunti. Osservo e ascolto. E’ un diario, un’agenda della vita altrui attraversata dalla mia, che mi accompagna dal 1993. Chantal e Sara, da qualche parte, esistono.

A un certo punto della narrazione la voce narrante cambia. Il punto di vista passa dalla prima a una terza persona; è Napoli stessa a narrare la vicenda. Perché hai optato per questa scelta?
Contrariamente a quel che si pensa, la prima persona nasconde più della terza. Così, passando alla seconda parte del libro, quella per capirci in cui si dà il via alle indagini vere e proprie, avevo bisogno di uno stacco, di un minore coinvolgimento da parte della voce narrante. Prima ho voluto disseminare indizi in ogni incontro, dialogo o descrizione e, poi, ho sfidato il lettore spingendolo a cercare, come fa Chantal, una risposta al perché di quelle morti così raccapriccianti, eppure morbosamente affascinanti per la capacità di evocare opere di grandi artisti, sia del passato che del presente.

“Verde napoletano” è ambientato tra Roma e Napoli. Due città a cui hai voluto in qualche modo rendere omaggio?
Quando parliamo di una bella città è come se descrivessimo una bella donna. Roma è la mia città. Ci sono nata, ci vivo e, anche se spesso sento il bisogno di allontanarmi da lei, so che è la mia compagna di vita. Napoli? E’ la “malafemmena” per eccellenza. Difficile sottrarsi al suo fascino. Insomma: “ti voglio bene e t’odio, non ti posso scordare”

Il mondo dell’arte è descritto con maestria. L’ambiente illusorio dell’Accademia, critici potenti e mercanti senza scrupoli ma anche giovani di talento disposti a tutto per una scheggia di notorietà. Un mondo che tu, insegnante di storia dell’Arte, conosci da vicino. È davvero così, il mondo dell’arte?
Sara, una delle protagoniste, cerca di definire lo strano sapore che ha il mondo dell’arte. E’ una realtà, dice, “che intensifica la vita, accelera il tempo e dà il piacere del rischio”. Sì, è davvero così, posso confermarlo. Non solo perché l’arte la insegno, non sarebbe sufficiente, ma perché ne ho scritto e ho vissuto accanto agli artisti. E’ appena stato pubblicato un mio saggio sulla pittura digitale, ho organizzato mostre d’arte contemporanea e ho avuto il privilegio di osservare da dietro le quinte le pulsioni più inconfessabili nascoste nell’anima di certi protagonisti di questa realtà. Ma non scordiamoci che il mio romanzo è un noir e che ho dovuto esasperare il lato oscuro del mondo artistico.

Perché la scelta di ambientare la vicenda nei mitici Ottanta? Nostalgia per quegli anni o un modo per esprimere che vent’anni sono passati, ma in certi ambienti, forse, niente è cambiato?
I mitici anni Ottanta sono stati gli anni della mia giovinezza e, siccome non è vero che il passato passa…,per me conservano intatta la loro fragranza. E, poi, che bello ambientare un giallo in quel periodo, senza essere invasi dai tecno-detectives alla C.S.I. : anatomopatologi, criminologi, biologi, periti medico-legali ecc. Preferisco figure professionali che affondano le mani nelle paure e negli incubi dell’uomo piuttosto che nel suo DNA.

Conosciamo meglio Letizia Triches: quali sono le tue passioni, oltre la scrittura?
A parte i libri e i quadri? Tante altre passioni. Sono un animale onnivoro, perché sono molto curiosa e, in senso metaforico ovviamente, vorrei assaggiare di tutto, purché di buona qualità. Quindi: film e musica. Posso oscillare senza turbamenti da “Labyrinth” a “Quarto potere”, da “Million dollar baby” a “La tigre e il dragone”oppure da Freddie Mercury a Gustav Mahler, da Bruce Springsteen a Johannes Brahms. Ho pure un’altra grande passione: le pietre preziose. Come una gazza, non resisto davanti ai bagliori di uno smeraldo o di un’ametista. La luce fredda delle pietre preziose è magnetica e i loro colori stimolano associazioni, provocano effetti psichici, risvegliano emozioni primordiali. Anche se mi accontento di ammirarle come si farebbe davanti a un dipinto.

“Verde napoletano” è un giallo classico, nella migliore accezione del termine; originalità      e perfezione linguistica. Sei una fan del genere?
Voglio raccontare storie, perché nessuno sfugge all’incanto del narratore. Il racconto non è un genere letterario ma una dimensione della nostra mente. Ed è lì che ho trascorso gran parte della mia vita. Amo quei gialli in cui l’intreccio è funzionale alla psicologia dei vari personaggi e dei loro rapporti reciproci. Ecco perché, nel mio libro, gli aspetti psicologici, riferibili alle esperienze personali vissute dai protagonisti, sono fondamentali per risolvere il caso. Il tessuto che regge tutto l’impianto è la natura umana.

Per concludere, una domanda d’obbligo. Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Scrivere. Per il momento resterò negli anni Ottanta, quando nascevano i giovani di oggi.

barbara baraldi

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