La Mondadori compie un’opera molto meritoria riproponendo al pubblico un romanzo tra il thriller, lo spionaggio e la fantascienza, già uscito con Tropea qualche anno fa (allora portava il titolo “L’anello di ghiaccio”), “Le montagne ghiacciate di Kolyma”, di Lionel Davidson.
Cominciamo col dire che già l’autore, un ebreo inglese vissuto dal 1922 al 2009, è una figura estremamente affascinante. Uno che ha fatto la Seconda Guerra Mondiale imbarcato sui sommergibili, poi è stato giornalista, poi ha scritto un numero decisamente ridotto di libri (otto romanzi e quattro libri per bambini), incassando sempre una grande quantità di lodi e plausi da colleghi e addetti ai lavori, ripetutamente vincitore di prestigiosi premi (tre volte il “Gold Dagger” della Crime Writers’ Association), ma restando sempre una figura di secondo piano nell’Olimpo dei generi che frequentava. La ragione, secondo alcuni critici che hanno scritto sui principali quotidiani britannici (Independent, Telegraph, Guardian, solo per citarne tre) dopo la sua morte, è che forse era troppo bravo, non era esattamente un autore di facile successo, ma si rivolgeva a un pubblico di lettori non disposti ad accontentarsi di tutto.
Questo romanzo, che risale al 1994, rappresenta il suo maggior successo. Curiosamente è anche l’ultimo e uscì dopo un intervallo di 14 anni dal libro precedente. E’ piuttosto lungo (456 pagine) e impegnativo, anche se si rivela appassionante sin dalle prime pagine.
Tutto comincia da due misteriosi messaggi che giungono a uno studioso inglese da un porto russo sull’Artico, messaggi che attirano le attenzioni dei servizi segreti. Qualcosa nel loro contenuto fa credere che riguardino un altro studioso, russo, un tempo dato per morto in un incidente ma poi ritenuto sopravvissuto e impegnato in una ricerca segreta. Pur senza sapere nulla di questa ricerca, gli esperti concludono, analizzando ogni ipotesi sulla sua provenienza, che il messaggio deve per forza riguardare un centro di ricerche segreto, sito in un’area pressoché inaccessibile della Siberia. Viene dunque predisposto l’invio sul posto di un agente, che in realtà è un canadese appartenente a una tribù di nativi americani, John Porter, esperto di lingue e dall’aspetto orientale. Seguendo un piano tortuoso e anche piuttosto rischioso, con l’aiuto di alcuni contatti nascosti tra la popolazione delle aree vicine al centro, Porter riuscirà ad arrivarci. Qui scoprirà che la ricerca in questione riguarda qualcosa di incredibile a prima vista.
Essendo un thriller, a questo punto, è molto meglio non dire altro, se non che l’elemento fantascientifico prende il sopravvento, pur trattandosi di una Science Fiction molto più rispettosa della Science che indirizzata alla Fiction a tutti i costi.
Davidson sa come costruire la suspense senza fretta, partendo da situazioni e realtà apparentemente banali in cui si muovono personaggi apparentemente ordinari, per arrivare gradualmente a rivelare l’eccezionalità di ambientazioni, circostanze, fatti e personaggi stessi. Il lettore poco esperto di Geografia fa fatica, nella prima parte, a seguire i movimenti di John Porter ma, alla fine, l’esperienza si rivela interessante e istruttiva. Lo stesso vale per i tantissimi aspetti tecnici che accompagnano ogni capitolo per tenere costantemente il lettore aggiornato su ciò che sta succedendo: non proposti attraverso una mera successione di descrizioni, bensì ricavati da brani di dialogo tra personaggi impegnati a risolvere un problema o a pianificare le loro successive mosse.
Il dialogo, in effetti, è uno dei punti forti dello stile di Davidson: sempre essenziale, eppure esauriente, rappresenta un momento in cui il romanzo procede a una velocità diversa rispetto ai paragrafi in cui l’azione prende il sopravvento, ma è un rallentamento solo apparente, perché è in questi momenti che sono rivelati, quasi sempre, i dettagli più importanti.
Ora, c’è solo da sperare che il successo di questo libro apra la strada alla traduzione di altri romanzi di Davidson, visto che in Italia non è uscito niente altro e che l’autore è così poco conosciuto da non avere neanche una pagina dedicata nella Wikipedia italiana. I giudizi che si leggono sul suo conto nei siti della stampa inglese, opera di gente come Daphne Du Maurier, Rebecca West o Graham Greene, fanno pensare che ci sia ancora molto di importante da scoprire.
Le montagne ghiacciate di Kolyma
Roberto Cocchis