MilanoNera incontra Paco Camarasa, direttore di Negra y Criminal

Classe 1950, a Barcellona dal 1988. Dieci anni fa, in Calle de la Sal alla Barceloneta, con sua moglie Montse Clavé, aprì Negra y Criminal, libreria specializzata che da subito diventò un punto fondamentale per ogni appassionato di noir, giallo, thriller e compagnia pugnalante. E non solo per i cittadini di Barcellona o spagnoli.

La libreria di Paco Camarasa è ormai un autentico topos. Dove ogni sabato si ufficia il rito collettivo del vino con le cozze, gustati con chiunque abbia il piacere di fermarsi da quelle parti ed entrare in quel mondo. Che da sempre, come dice lui, «fanno lotte su lotte contro le automobili e si chiamano per nome perché si conoscono un po’ tutti». E infatti lui Manuel Vázquez Montalbán lo chiama semplicemente Manolo. Non è necessario altro. Neanche il nome per esteso della libreria è necessario sapere. Basta chiedere della “librería dei delitti”. Abbiamo incontrato uno degli ultimi romantici. Negrocrinìminal, ovvio.

Qual è l’aspetto più distintivo della storia del noir spagnolo?

«Il romanzo noir spagnolo, tanto scritto in castigliano quanto in catalano, nasce alla fine della dittatura franchista ed è un tentativo di spiegare in un romanzo ciò che non poteva essere raccontato nei periodici. Gli autori erano antifranchisti e volevano utilizzare uno strumento popolare per esprimere una critica alla dittatura.»

Ma c’è in concreto una data, un momento che abbia fatto da big bang?

«In realtà no, anche se non mancano date significative. Come il 1953, quando Mario Lacruz, poi diventato editore, pubblica El Inocente (L’Innocente, Alacran. Nel 1972 Jaume Fuster dà alle stampe De mica en mica s´omple la pica e nel 1974, Manuel Vázquez Montalbán, esce con Tatuaje (Tatuaggio, Feltrinelli) la vera prima avventura noir con protagonista Pepe Carvalho.»

 

Cosa ha fornito il giallo, se mai ha dato qualcosa, alla letteratura spagnola?

«In generale poco, essendo sempre stata considerata un genere di evasione, un sottogenere narrativo. Avesse potuto dare qualcosa. Un destino nero, considerato che uno dei suoi principali autori, Manuel Vázquez Montalbán, era allo stesso tempo un intelletuale rispettato da tutti. Anche dalla destra e dalla borghesia.»

 

È dell’idea che un romanzo noir, per le più intime caratteristiche e i personaggi che prende a modello, tragga più sangue se scritta sotto un regime?

«Senza democrazia non ci può essere un’autentica letteratura noir visto che altrimenti ci pensa la censura a cancellare tutta la critica necessaria che un buon romanzo del genere deve avere in sé. Il giallo sotto Franco doveva avere l’accortezza di utilizzare altri scenari che non la Spagna, perché la Spagna franchista doveva risultare un’isola felice dove non accadevano delitti importanti. Sotto una dittatura non si può certo parlare di corruzione della politica e delle forze dell’ordine.»

E com’era il giallo sotto Franco?

«Scritto per i poliziotti. Romanzieri come Francisco González Ledesma si rifugiarono nelle collezioni popolari di basso prezzo e con formato pamphlet, firmate con pseudonimo. Una storia alla settimana per sopravvivere.»

 E oggi cosa preferisce il lettore spagnolo?

«Non esiste una preferenza reale e maggioritaria. Tanto nel campo delle traduzioni, quanto in quello della creazione in lingua, la mappa è ampia. In ogni caso, gli srittori più letti sono Alicia Giménez Bartlett, Francisco González Ledesma, Andreu Martín y Lorenzo Silva, menzionati in ordine alfabetico. Al massimo possiamo affermare che i lettori preferiscono i romanzi riconducibili a un personaggio o a una serie.»

 Differenze e somiglianze con il noir italiano.

«La maggiore differenza penso che sia l’età dei lettori, più alta nel panorama italiano, con effetto sulla scelta degli autori. In Italia la democrazia è arivata prima ed è una normalità culturale. Anche se la concentrazione dei mezzi d’informazione in mano a Berlusconi la mette in pericolo. C’è però un modo di vedere comune tra autori italiani e spagnoli: la società mediterranea in cui vivono. Questa è una realtà che influisce da morire quanto a pienezza di vita, di musica, di strade, di luce, di gastronomia nei loro romanzi.»

Possibile fare un identikit del lettore spagnolo di noir?

«Del noir, sì. Di narrativa negrocriminal, no, perché è troppo vasto. Il lettore di noir legge tra i tre e sei libri al mese, in maggioranza femminile, preferisce il libro cartaceo a quello elettronico, ama più parlare che usare Twitter. Poi, fuma e beve.»

 Quali gli autori italiani di maggior successo in Spagna?

«Camilleri, senza dubbio. Poi, non fosse che per il numero di titoli tradotti, Carlotto e Carofiglio.»

In Italia una parte della critica letteraria considera il noir più realistico di ogni altro genere narrativo in quanto il più abile a scrivere il “giorno per giorno” dei nostri tempi. Lo stesso accade a Madrid e a Barcellona?

«Sì. I pochi che si occupano del noir sono d’accordo che questo genere è l’unico vero sguardo letterario sopra la parte oscura di una società, ogni volta sempre più oscura.»

 Lei dirige un luogo autenticamente sacro per ogni appassionato di questo tipo di letteratura. Ma com’è il popolo della Negra y Criminal?

«La libreria Negra y Criminal se ne sta in un quartiere di Barcellona, ma ha una eete che va ovunque. Con internet arriviamo a persone di paesi piccolissimi in cui non esistono buone librerie e la rete ci permette di vendere bene. In libreria arrivano in genere dei veri e propri drogati di noir e persone che vengono di tanto in tanto per cercare nuovi autori. Costantemente riceviamo visita di lettori che arrivano da fuori Barcellona. Siamo come la Sagrada Familia di Gaudì, però in salsa negrocriminal.»

 La sensazione è che la gente venga anche per un rito: il piacere di parlare, respirare aria buona, accettare un buon caffè, sfogliare i libri e fare parte di un microcosmo senza frontiere. E al sabato partecipare alla festa delle cozze con vino.

«La Negra y Criminal è una libreria, non un negozio dove semplicemente comprare un libro. Nessuno viene, prende quello che gli serve e se ne va. Qui il libraio consiglia e viene consigliato. Senza possibilità di parlare, ascoltare musica e bere un caffè o del buon vino, la Negra y Criminal non esisterebbe.»

 La libreria è alla Barceloneta, cuore ideale di Barcellona. Barcellona ci porta a Manuel Vázquez Montalbán. Cosa ha dato davvero questo autore alla città?

«Manolo ha localizzato Barcellona, più in particolare il suo quartiere più popolare, il Barrio Chino, nella cartina della Spagna e dell’Europa. Nessuno parlava del Barrio Chino, un quartiere per niente estetico alla vista dei buoni borghesi. Pepe Carvalho ci ha fatto camminare nelle sue strade mentre magari lo si leggeva a Valencia, Milano o Tolosa. Senza Manolo lo sguardo sulla città sarebbe stato differente.»

 Com’è la situazione delle librerie in Spagna oggi?

«Tra poco entreremo in un programma di visita delle specie in via di estinzione. La situazione è dura per via della presenza dei centri commerciali e delle grandi catene. E pure per la vista corta degli editori. Gli spagnoli hanno abdicato al ruolo di cittadini per diventare consumatori e le librerie sono luoghi per cittadini.»

 Dopo tutti i libri che ha letto: esiste il delitto perfetto?

«Sì, credo esista. Prenda il tema di questi ultimi tempi: il disoccupato greco è stato ucciso o si è suicidato? Sappiamo chi è il colpevole, ma nessuno può arrestarlo. Mi piaceva più il crack del 1929. Almeno allora a suicidarsi furono i banchieri.»

 E a lei verso chi piacerebbe ideare il delitto perfetto?

«Non voglio organizzarne uno, mi basta leggere quelli che trovo nella mia libreria. Però auguro il peggio a chi sta facendo così tanto danno, che poi sono quelli di sempre, i potenti senza scrupoli. Auguro loro che il 10% dei loro privilegi li debbano spendere in medicine contro la diarrea.»

Corrado Ori Tanzi

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