“Omicidio a Berlino“, a metà strada tra thriller e spionaggio, è opera di un autore che ha già ambientato diversi libri  nello stesso periodo (gli anni appena posteriori alla Seconda Guerra Mondiale) ed ha evidentemente svolto molte ricerche per documentarsi su tutto quanto poteva riguardare l’argomento. Non a caso, l’ambientazione ne rappresenta il punto forte: senza appesantire esageratamente le descrizioni, solo pennellando quanto occorre per farsi una significativa idea di luoghi e circostanze, Joseph Kanon offre al lettore motivato e attento la possibilità di vivere la storia come se ci si trovasse dentro, da diretto testimone.
La vicenda, di per sé, è piuttosto avvincente. Alex Meier, uno scrittore ebreo tedesco, fuggito negli Usa durante il nazismo, nel 1949 torna a Berlino, ufficialmente per stabilirsi di nuovo a casa propria. In realtà , negli Usa, sta avendo grossi problemi con la Cia perché risulta che è stato ed è ancora amico di intellettuali comunisti: siamo infatti all’inizio della Guerra Fredda, nel periodo iniziale, denominato Maccartismo dal nome del feroce demagogo di ultradestra Joseph McCarthy che ne fu il principale ispiratore, in cui gli States si ritrovarono per alcuni anni preda di una vera e propria paranoia anticomunista e xenofoba; ciò condusse a parecchi abusi, il cui ricordo è ancora oggi fonte di imbarazzo per gli storici, come l’esecuzione dei Rosenberg, la Commissione per le Attività Antiamericane, la Lista Nera di Hollywood, una serie di morti misteriose come quella dell’attore John Garfield, ecc.
Alex Meier, incappato nella rete dell’onnipotente Cia, per distogliere i sospetti che lo porterebbero in galera o a essere espulso come straniero indesiderato, non può far altro che prestarsi al gioco dei servizi segreti, che lo spediscono in Germania a spiare un po’ di persone che conosceva da prima della guerra e che stanno facendo carriera nell’intelligencija della neonata Germania Est, compresa la donna di cui era innamorato. Ma, da quasi subito, le cose si complicano: subisce un tentativo di rapimento, si trova coinvolto in una sparatoria ed è costretto a uccidere un uomo per salvarsi. Da quel momento, si trova addosso un po’ tutti, ed è costretto a barcamenarsi in una specie di doppio gioco senza malizia, il cui unico obiettivo è salvare la pelle il più a lungo possibile.
Kanon è autore di gran mestiere, e questo si vede benissimo, sin dalle prime pagine. Anche se poi il mestiere non è tutto. Il lettore abituato ai thriller moderni, che cerca soprattutto la tensione e il ritmo incalzante, troverà sicuramente questo romanzo irresistibile; ma quello un poco più esigente, che magari ha ancora come riferimenti gli Hammett, i Chandler, i Macdonald e i Le Carré, alla lunga, potrebbe cominciare a trovarlo fastidiosamente privo di originalità , scritto pari pari come si insegna nelle scuole di scrittura creativa, senza un lampo di vera personalità . A parte il fatto che balza subito all’occhio come la storia sia stata concepita soprattutto per piacere a qualche testa d’uovo di Hollywood: i dialoghi, benché siano importanti per riannodare i fili con gli eventi passati cui si fa riferimento senza abusare dei flashback, a volte occupano una quantità di pagine esagerata, come se si trattasse già di una sceneggiatura pronta per essere messa in scena. Soprattutto quando entrano in scena personaggi storici realmente esistiti, come Bertolt Brecht e Anna Seghers, sembra quasi di vedere le star protagoniste mentre si pavoneggiano sullo sfondo, intanto che i caratteristi, truccati a dovere, gigioneggiano per riempire i loro cinque minuti di gloria davanti alla telecamera. A tanti, piace anche così: ma non tutti si accontentano.
Omicidio a Berlino
Roberto Cocchis