La bella di Buenos Aires



Manuel Vázquez Montalbán
La bella di Buenos Aires
feltrinelli
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Helga aveva tutto per diventare la Emmanuelle d’Argentina. Soprattutto le tette. Da far invidia a Sylvia Kristel, l’Emmanuelle che il cinema ci ha consegnato. Scappò dai militari di Videla e approdò in Spagna. Non diventò mai un’icona celebrata. La vita la risucchiò su palcoscenici meno celebrati. Di lei si parla al passato perché è stata riconosciuta nel corpo di una barbona trovata ammazzata in una stazione della metropolitana di Barcellona. Si chiede l’aiuto di Pepe Carvalho e il detective chiede quello del fedele Biscuter. Perché sa che c’è da immergersi nel nero più nero della stratificazione sociale della città. E Biscuter nel passato ha annusato un po’ più di merda. La bella di Buenos Aires, che segna il ritorno, purtroppo postumo, di Manuel Vázquez Montalbán, è un inedito solo per il lettore non spagnolo. Il romanzo venne pubblicato nel 1997 col titolo La muchacha que pudo ser Emmanuelle (La ragazza che sarebbe potuta essere Emmanuelle) e uscì a puntate su El País. Ma tant’è, di romanzo si tratta e che romanzo. In queste (poco più di) 150 pagine Manolo, come veniva semplicemente chiamato l’autore, pratica un’immersione nei bassifondi più profondi di Barcellona in cui il personaggio più pulito sembra quello che ha la sabbia. La premiata ditta Carvalho & Biscuter cerca di sbrogliare una matassa umana che va da puttane e lenoni (e vabbè, un topos nella letteratura di Vázquez Montalbán); ubriachi marci; sozzi impresari; mendicanti esistenzialisti; torturatori sudamericani; lorde maitresse di Café che, pur ancora aperti, vivono più nella e della memoria di chi li ha frequentati in un passato glorioso; fascisti dal muscolo sempre teso; poliziotti che leggono Roland Barthes ma che (neanche troppo) sotto sotto continuano a vestire l’uniforme del buon franchista. Pure l’allora giudice Baltasar Garzón non manca. Un romanzo che tocca il sudicio e si fa lirico sulla carta. Perché la sfortunata protagonista, per quanto obesa, avvinazzata e privata della sua originaria bellezza, è riportata a noi con un quadro di pietà umana assoluta. Nello scavo delle sue illusioni che la vita le praticò una volta messo piede in Spagna, c’è la tracheotomia del Barrio Chino che Barcellona negli anni Novanta decise di praticare per scopi non sempre in linea con gli slogan urbani di riforma dei nuovi spazi che la sostenevano presso l’opinione pubblica. Chi ha ucciso Helga? Montalbán lo dice prima che ci arrivi Carvalho: la Storia è la vera assassina. Il passato, che i colpevoli vogliono cancellare dalla faccia dell’esistenza. E quando ciò risulta impossibile, quando cioè il passato resuscita la colpa, “i colpevoli tornano a uccidere, tornano a essere quello che sono sempre stati. Assassini”. Distruggere l’inguine di una città non significa necessariamente distruggere anche il labirinto dei sogni primari dei suoi abitanti. Spesso non è affatto necessario. Quelli vengono sbranati a prescindere. Romanzo magnifico. Ai soci del Club Montalbán: bestemmia considerarlo nell’empireo del mondo letterario di Manolo?

Corrado Ori Tanzi

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