Francesco Pecoraro

Francesco Pecoraro, nato nel 1945, lavora come architetto urbanista presso il comune di Roma, dove vive.
Scrive da una ventina d’anni, poesie, saggi su arte e architettura pubblicati da riviste specializzate e racconti.
Scrive su Nazione Indiana come Tashtego e ha un suo blog Tash-blog dove pubblica racconti, poesie e scrive pezzi estemporanei su quanto gli accade, su avvenimenti e mostre. Se gli capita di fare dei viaggi, ne scrive la cronaca.
Silvia Bortoli, che lavora nel mondo dell’editoria, aveva notato la qualità della sua scrittura e lo aveva contattato dicendogli che qualora avesse voluto pubblicare avrebbe potuto dargli una mano. Insieme hanno costruito un’ipotesi di libro e l’hanno inviata a diversi editori.
La Mondadori lo ha contattato dicendo che aveva deciso di pubblicarlo.

Dove credi di andare è uscito in febbraio 2007 e ha vinto il Premio Berto, è nella terna dei vincitori del Premio Napoli e è stato finalista del Premio Chiara.
Attualmente sta raccogliendo materiale per un nuovo libro ma non ha ancora deciso se sarà una raccolta di racconti o un romanzo.

Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere

Non avrei voluto scrivere nessun libro di un altro e sono contento del libro che ho scritto.

Sei uno scrittore di genere o scrittore tout court, perché?

Credo di essere uno scrivente che non si pone il problema di fare letteratura ma di fare scrittura, cosa questo significhi non lo so.

Un sempreverde (libro) da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare…

I libri si possono leggere al massimo due volte, non ho mai avuto un libro feticcio anche se ci sono dei libri che mi sono piaciuti molto.
Sulle canzoni non so cosa dire.
L’unico film che ho riguardato decine di volte è stato Pat Garrett e Billy the Kid di Sam Peckinpah.

Si può vivere di sola scrittura oggi?

Temo di no, quello che posso dire è del tutto ovvio, se per particolare capacità uno scrittore riesce a vendere un numero di copie dei suoi libri in grado di sostentarlo, va molto bene. Molti scrittori campano più sul loro essere scrittori che su quello che scrivono, partecipando a dibattiti, scrivendo sui giornali e con altre attività. Campano con un indotto della scrittura più che della scrittura. Non credo che siano felici di farlo. Io campo con il mio lavoro di architetto.

Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perché?

Credo che non servano per imparare a scrivere ma lì si può trovare qualcuno che a pagamento può darti un giudizio articolato e professionale su quello che scrivi.

ambretta sampietro

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