007 Tempo di uccidere



raymond benson
007 Tempo di uccidere
alacrán
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Non esistesse, James Bond bisognerebbe inventarlo: la minestra, pur essendo la stessa da piu’ di cinquant’anni, non e’ mai riscaldata.
L’eroe nato nell’oramai lontano 1953 dalla macchina per scrivere di Ian Fleming, questa volta viene trascinato sul tetto del mondo dal word processor di Raymond Benson, un texano che non ha gli occhi di ghiaccio ma le dita di fuoco sě. Scrive bene e inventa meglio ed e’ per questo che Hollywood se lo coccola. Cosa chiedergli di piu’?
Lo scrittore-musicista, al solito egregiamente tradotto da Andrea Carlo Cappi e pubblicato in Italia da Alacran, non si tira indietro e prosegue il fortunato ciclo di romanzi di 007 spedendo di nuovo in missione la spia di Sua Maesta’.
Il romanzo, ve lo posso garantire, si ingolla in un fiato, manco fosse un vodka Martini (agitato e non mescolato, ovviamente). James Bond, tra amplessi e partite a golf, fa il giro del mondo in trecento pagine e, come al solito, in ogni capitolo rischia la vita almeno una volta per colpa di chi gli vuole impedire di ritornare in possesso di Skin 17, il piu’ prezioso segreto militare britannico.
Inutile dirlo, qualcuno ha tradito. Superfluo ripeterlo, tocca a 007 metterci una pezza.
Sugli ottomila del quasi impronunciabile Kangchenjunga, la terza montagna del pianeta, l’eroico agente inglese deve dannarsi l’anima per evitare di lasciarci le penne. Questa volta sono la natura e la furia degli elementi gli avversari piu’ pericolosi. Due brutti ceffi contro cui non ci sono Beretta ne’ Walther PPK che tengano.
La critica internazionale l’ha definito “il miglior romanzo di 007 dopo quelli scritti da Fleming”. Signori, siete avvisati.

paolo franchini

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