7.7.2007 Antonio Manzini



Antonio Manzini
7.7.2007 Antonio Manzini
Sellerio
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7.7.2007.
Pochi possono permettersi un titolo così. Lo fece Orwell, l’ha fatto recentemente Stephen King e lo fa ora Antonio Manzini.
Nessuna parola, nessuna frase, solo una data. Una data che ha però un grande significato: è lo spartiacque tra il prima e il dopo, tra il Rocco Schiavone che abbiamo imparato ad amare, perso in un loden fuori luogo a lasciare impronte di Clarks inzaccherate nella neve di Aosta e il Rocco di prima, quello romano, che avevamo solo intravisto nei racconti delle antologie.
Una spiegazione che era dovuta e attesa e senza la quale la storia non sarebbe più potuta proseguire. Si torna quindi indietro di nove anni, e quello che Manzini ci descrive è uno Schiavone che ha ovviamente molte delle caratteristiche che lo hanno contraddistinto nei racconti aostani, ma la differenza c’è e non è di poco conto: il racconto ci regala un Rocco sì burbero, sì cinico, sì sempre sul filo dell’ illegalità, anzi quasi sul filo della legalità, ma con un’enorme e sostanziale differenza: non ha ancora perso l’amore. Conosciamo così anche un personaggio più gioioso, innamorato, con meno spigoli, capace persino di preoccupasi per una pianta di limoni solo perché è di Marina. Un Rocco che non è fuori luogo e tempo come ad Aosta , ma è perfettamente calato nel suo ambiente, ne conosce odori e umori e ne è padrone. Una specie di costruzione del personaggio al contrario. Con lo svolgimento del racconto si evince come e perchè Rocco sia diventato quello dei romanzi precedenti, quali sono i suoi angoli bui, i suoi nodi irrisolti. Ad accompagnarlo nella storia i suoi amici storici, quelli di una vita, e anche di malavita. Ma questo è Schiavone, ambivalente, al servizio sì della giustizia ma anche del suo personale concetto di giustizia, decisamente più spiccio e non proprio legale, ma che spesso appare quasi migliore di quello applicato nei tribunali.
Sullo sfondo c’è Roma ed è facile perdersi nel suo spettacolo, come fa Rocco dalla terrazza di casa sua. Enorme è il contrasto coi panorami di Aosta, ma proprio quelle montagne sono e saranno lo specchio migliore del suo carattere: aguzze e frastagliate, dure e rocciose, ma pronte a sorprendere con ampie vallate e dolci pendii.
A fare da contorno manca questa volta la sua “corte”, manca soprattutto il coro comico formato negli precedenti romanzi dai due giullari d’Intino e Deruta, scelta ovvia perché la storia è più drammatica, ma certo non meno piacevole. Un romanzo diverso quindi, ma necessario, che contribuisce a risolvere il passato, quasi tutto, a spiegare il presente e a gettare le basi per romanzi futuri . Perché di Rocco Schiavone non se ne ha mai abbastanza.

Cristina Aicardi

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