Un mistery o un romanzo morale?
Il mistery di Fabio Mundadori non è un romanzo sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, eppure tutto ruota intorno a quella data, antefatto e attualità della vicenda narrata, passato che condiziona il presente, vittime e sopravvissuti che le stesse bombe hanno privato di un futuro.
Un protagonista, il commissario Cesare Naldi, baciato da un istinto investigativo raro che lo rende inviso ai colleghi della Questura, che c’era sul teatro della strage e che da allora ha riportato una dote, peculiarità o maledizione che sia. In coppia con lui l’agente Cristina Colombo, ossequiosa delle regole quanto Naldi è insofferente, compagna brillante di un’indagine che scardinerà in lei regole e certezze. Una caccia serrata a un killer seriale, brillante e fantasioso quanto spietato, sullo sfondo di una Bologna che sempre più somiglia a una metropoli in noir e che in quel 2 agosto 1980 ha perduto l’innocenza del suo sorridente volto provinciale per non riacquistarlo mai più.
Fabio Mundadori ha costruito un mistery impeccabile, complesso e imprevedibile quanto basta a soddisfare i lettori più esigenti, ma ha anche scritto righe di commossa lucidità su quelle ore tragiche da cui ci separano oltre trent’anni ma di cui il ricordo persiste indelebile. Il mosaico dall’atroce disegno di sangue comparso sul pavimento della Stazione Centrale o il lugubre Bus 37 divenuto ultimo passaggio delle vittime ritraggono istanti che restano per sempre e confermano l’asserto di Jean-Patrick Manchette secondo cui è il noir ad avere raccolto il testimone del grande romanzo morale.