Shanghai. Maggio. Presso l’Associazione scrittori il poetico ispettore Chen Cao è a una conferenza sull’enigma cinese, il socialismo “con caratteristiche cinesi”, società armoniosa piena di stonature. Conosce la bella intelligente giornalista Lianping, ma lo chiamano per l’apparente suicidio del direttore del Comitato per lo sviluppo edilizio, travolto da una sua foto con sigarette di lusso. Il collega Wei sta indagando, si convince che è un delitto e viene investito da un auto. Nell’ottavo romanzo della deliziosa serie, l’impeccabile 61enne (trasferitosi a insegnare negli Usa dopo il 1989) Qiu Xiaolong (“Cyber China”, Marsilio 2014, pag. 315 euro 18; orig. 2013, trad. Fabio Zucchella), in terza quasi fissa al passato, racconta l’ossessione di controllare internet, blog e netizen. Chen scopre il regolamento approvato che obbligava a mostrare la carta d’identità negli accessi pubblici. Dopo, ve ne sono stati almeno altri dieci per imporre di filtrare ogni informazione tramite i media di partito. Non a caso, qui anche Chen è primo vicesegretario. E capisce che può diventare la sua ultima indagine; si industria. Mahler, tè e molto buon vino.