Il capro – Silvia Cassioli



Silvia Cassioli
Il capro
Il saggiatore
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Nella sterminata produzione di testi dedicati all’intricata vicenda del Mostro di Firenze mancava un’opera come “Il capro”, esordio della senese Silvia Cassioli per Il Saggiatore. Non un’inchiesta come quelle realizzate da diversi personaggi coinvolti, a vari livelli, nelle indagini o nei processi a presunti serial killer solitari, compagni di merende e mandati vari, ma nemmeno un romanzo vero e proprio, “Il capro” è piuttosto un resoconto in presa diretta sugli eterni eventi collegati alla brutale serie di duplici delitti, avvenuti nel contado fiorentino, che ebbe (forse) inizio nell’agosto del 1968, a pochi passi dal cimitero di Signa, e terminò in un vero massacro, sotto gli alberi della piazzola degli Scopeti, nel settembre del 1985.

“Il Capro” si schiude, per l’appunto, raccontando in un toscano esasperato la storia di uno spaventoso crimine ancora precedente, accaduto nel 1951 alla Tassinaia. Un fatto di sangue talmente violento da ispirare le ballate dei cantastorie, che vedeva coinvolti un giovane Pietro Pacciani, il suo mai dimenticato amore Miranda Bugli, e il povero cenciaiolo Severino Bonini, trucidato a poco più di quarant’anni d’età.

Partendo da questo potenziale detonatore della famigerata serie omicidiaria, Silvia Cassioli tenta di sbrogliare una matassa terribile all’interno della quale s’intrecciano diabolicamente, non solo in senso metaforico, piste sarde, guardoni inveterati, moventi esoterici e mandanti gaudenti, celati dal buio impenetrabile di una coltre ben protetta, in grado di pilotare le indagini e di far sparire prove e personaggi scomodi.

“Il capro” si muove come un pendolo avanti e indietro lungo i decenni, allo stesso modo di tutta questa assurda vicenda italiana, tra bossoli di pistola che appaiono e svaniscono magicamente, superpoliziotti e squadre speciali, testimonianze taciute o esternate a favore di telecamera, promettenti piste che si risolvono in altrettanti buchi nell’acqua. In questo turbinio di figure inquietanti, solido e incancellabile rimane soltanto il ricordo delle sedici vittime e delle numerose morti collaterali insolute, un ennesimo bandolo rimasto sospeso a galleggiare sopra una gigantesca distesa di sabbie mobili in grado di avvolgere ogni personaggio coinvolto, nel bene come nel male, prima di lasciare una sensazione ultima e dominante. 

Quella dell’inquietudine, del disagio, per le troppe, infinite e assurde coincidenze che in qualche modo mettono in relazione un colpevole con un altro, un movente e il successivo, una vittima e un luogo, un mostro possibile e tanti altri mostri probabili.     

Thomas Melis

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