Il cuore in mano



Salvatore Carrubba
Il cuore in mano
Longanesi
Compralo su Compralo su Amazon

Dopo un avviso ai viaggiatori, Salvatore Carrubba, come un antropologo, con gli autobus e i tram a fare da osservatorio mobile, ci trascina alla scoperta di una Milano inattesa, poco conosciuta: la Milano che nasce, vive, pulsa al di là dell’insuperabile (pareva) cerchia dei Navigli. Non una Milano che si sente a fine corsa, a detta del titolo del suo ultimo capitolo. O una leader svogliata? Una metropoli mancata che architettonicamente ha dovuto fare i conti con il perenne vizio o vezzo di abbattere il passato per ricostruire. Pensiamo alla Milano del ‘200, ‘300, ‘400, ‘500, ‘600, quasi tutta sostituita dall’’800, ‘900 e ora il 2000 e poi? Non rinunciamo! Nuove infinite, possibilità che si offrono, basta coglierle! E quindi una nuova Milano che guarda al futuro, vive il futuro, forse non bella, ma utile, pragmatica e viva? Forse sì. E perché si può e si deve comprare la Milano allargata, la Grande Milano, una città che sta cambiando ma non lo sa? Afflitta da mille pene (per citarne una cronica: la guerra a tutti parcheggi sotterranei – cosa di assoluta normalità in tutte le città europee – e quindi la sosta selvaggia, non sanzionata da multe feroci). Un arcipelago di periferia, una giungla per altri, una città da fuggire a ogni fine settimana per altri ancora… o, in attesa di un cavallo di Troia, una possibile fucina di nuove idee, di nuovi mezzi di lavoro anche per i giovani, un’Araba Fenice che deve risorgere dalle sue ceneri. Con la moda che convoglia tanti ammiratori sinceri, ma porta ossigeno? Con l’università? Certo! Sono soprattutto i giovani che la capiscono e la amano. Sono loro che l’accettano com’è, in toto. E quindi si deve puntare su loro, sul loro lavoro per rifare di Milano un trampolino d’idee, di progetti, di opportunità e insegnarle a riappropriarsi dei suoi diritti. Bisogna dare ai giovani un valido motivo per starci e per tornarci. Il marziano Kunt, nipote di quello di Ennio Flaiano, che Carrubba incontra nel suo ultimo percorso in tram, ne vede pregi e difetti con serenità, senza paraocchi. Si deve dimenticare la cultura dell’immagine tanto cara a certa politica e puntare sul fare. Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, conservato nel Museo del Novecento, opera non eccelsa, ma che evoca il desiderio delle masse di fare, di costruire la democrazia, deve diventare il simbolo del futuro della città. E per finire mi piace citare la “postfazione” dell’illuminista Salvatore Carrubba, una conclusione carica di humour alla fine della presentazione del suo libro, che ringraziando per gli autorevoli interventi ha detto: «Mi hanno aiutato a capire cosa avevo scritto».

patrizia debicke

Potrebbero interessarti anche...