Il serpente di pietra




Il serpente di pietra

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Nella Istanbul del 1839 una serie di omicidi ha come obiettivo il ritrovamento del Santo Graal che sembra sia stato nascosto da qualche parte nei sotterranei della città durante l’invasione turca. Si fronteggiano perciò gli uomini disposti a tutto pur di difendere questo segreto secolare e chi vuole ritrovare il tesoro solo per ricavarne un profitto. Protagonista del romanzo di Jason Goodwin è Yashim, consigliere eunuco del sultano Mahmut, che nel corso della narrazione si ritroverà lui stesso accusato dell’omicidio di Lefèvre, archeologo (o forse semplicemente avventuriero) dal passato misterioso.

Intriganti e bellissime sono le descrizioni di Istanbul, che spesso “prendono la mano” all’autore e fanno passare in secondo piano il giallo vero e proprio. Ne vale in ogni caso la pena perché sembra di stare fisicamente nei mercati, nei quartieri del porto e in tutti i luoghi in cui si avventurano i personaggi con i colori, gli odori e le sensazioni tattili.

Talvolta dopo le digressioni paesaggistiche si fatica un po’ a riprendere le fila dell’indagine, anche perché Yashim non è un detective professionista e non segue un vero e proprio metodo: la soluzione giunge con una certa dose di casualità dopo che rischierà anche di venire ucciso.

Nonostante il Graal faccia la sua apparizione solo a poche pagine dalla fine della vicenda, il giallo riesce a catturare l’attenzione di chi legge e a essere credibile nel suo svolgimento.

Il personaggio di Yashim è pressoché l’unico a essere esplorato in profondità, in virtù anche dei suoi turbamenti interiori che hanno radici lontane: ricordi dolorosi solo accennati, e una specie di angoscia e disperazione latenti che solo con gli anni è riuscito a controllare. L’incontro con Madame Lefèvre in tal senso si preannuncia da subito foriero di problemi.

Gli altri personaggi, ad esclusione forse della valide, madre del sultano agonizzante, non hanno una vera e propria profondità psicologica ma sono dei “tipi” con cui Yashim si trova a interagire: questa scelta autorale rende bene lo straniamento e l’esclusione che l’eunuco vive in una società dove tutti, tranne lui, hanno un posto ben preciso. Non può dire di conoscere bene nessun uomo, e questo anche quando parla di quelle che sono le persone che a vario titolo frequenta con più assiduità.

In qualche modo la valide è accomunata a Yashim da questo limbo sociale: come madre del sultano è sempre stata lusingata e ossequiata, almeno finché la corte non si sposta dal palazzo di Topkapi e il figlio giace in un letto, morente. Ormai è sola, carica di anni e senza più alcuna autorità… ma proprio alla fine riuscirà, grazie alla sua nuova condizione, a vedere il suo popolo da vicino, dopo una vita passata nell’harem, e sarà proprio Yashim, l’altro escluso dalla vita, ad accompagnarla.

Il lessico è curato e le parole turche disseminate nel corso dell’opera non fanno che rendere ancora più credibile l’ambientazione, che è sicuramente il punto di forza del libro.

Insomma, Goodwin è un affabulatore che sa come affascinare il lettore.

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