“Il vomerese” non si puň definire un giallo vero e proprio quanto una spy story, un thriller (fanta)politico: la storia si svolge nel 1980 e racconta le vicende della colonna napoletana di un mai nominato gruppo terroristico – il riferimento alle Brigate Rosse o forse ai Nuclei Armati Rivoluzionari č d’obbligo ma mai esplicito – intento a preparare un sequestro eccezionale, quello del comandante della base Nato (e anche qui la memoria corre al sequestro Dozier). La vicenda č intrecciata con le trame del terrorismo internazionale, e vi prendono parte gruppi palestinesi, russi, americani e l’immancabile Mossad. Il vomerese del titolo č un veterano di questo gruppo, un esponente di vertice che si trova a fare i conti non tanto con la propria coscienza – argomento questo solo sfiorato qua e lŕ nel libro – quanto con la difficoltŕ di riconoscersi in una realtŕ che non č piů quella di quando, decenni prima, aveva cominciato la lotta politica prima e quella armata poi.
La tensione č continua, dalla prima all’ultima pagina, e questo č in fondo quello che si chiede a un giallo; molto ben scritto, č quasi inutile aggiungerlo trattandosi di Veraldi, con una prosa che suggerisce un’atmosfera pesante come il piombo degli anni cui fa riferimento la storia.
C’č forse un eccesso di retorica nei dialoghi (ma probabilmente č un effetto voluto, ripensando all’enfasi e talvolta all’ampollositŕ di cui i brigatisti ammantavano i propri discorsi e comunicati); e si nota il fatto che Napoli rimane un po’ sullo sfondo, tratteggiata qua e lŕ ma sempre e soltanto “scenografia”.
“Il vomerese” forse non č il capolavoro di Veraldi ma č comunque un magnifico romanzo, e Veraldi stesso uno dei padri fondatori della narrativa noir italiana, insieme a pochi altri; peccato che sia venuto alla ribalta tardi, oltre i cinquant’anni, ed abbia prodotto tutto sommato pochi titoli. (ugo mazzotta)