La coda del diavolo



Maurizio Maggi
La coda del diavolo
Longanesi
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Il sud della Sardegna brullo e solitario rispecchia l’asprezza e la misantropia di Sante Moras, il protagonista di “La coda del diavolo” di Maurizio Maggi. L’autore torinese, dopo “L’enigma dei ghiacci”, torna in libreria con un thriller on the road che si mescola al noir. Un uomo in fuga, come una preda braccata dal cacciatore, cerca di scappare soprattutto dal suo passato che lo tiene prigioniero di se stesso e delle sue scelte. E’ la Sardegna piu’ intima e dura ad accogliere una storia fatta di muri e sbarre, silenzi e urli, dubbi e domande. Pensieri e azioni calibrati dallo spazio ridotto o dalla mancanza di prospettive, dal rimorso o dalla consapevolezza dei propri errori sono quelli che attanagliano non solo un detenuto dentro il carcere ma anche chi lo sorveglia “chi fa la guardia ai detenuti ne condivide tempi e spazi di vita e dopo un po’ anche la mentalità” come succede a Sante. Il romanzo racconta di fughe verso la salvezza, verso la libertà e verso la verità di personaggi prigionieri, violentati e violenti, che vogliono abbandonare il luogo in cui il male si perpetra e si perpetua. Come fa la giovane Franziska, una ragazza segregata per tre mesi in casa di un aguzzino, che evade e corre a perdifiato inseguita da quel mostro che la ucciderà davanti a una pattuglia dei carabinieri. Il mostro, Ilianu Virdis, ingegnere, viene rinchiuso in carcere dove è di turno Sante, una delle sessanta guardie per i trecento detenuti, “trent’anni e ancora fermo al livello di agente scelto. Fisico da militare, solitario e taciturno, il tipo di persona timorosa di rivelare qualcosa di sè”. Nell’obitorio dello stesso carcere giunge pure il cadavere della giovane vittima per il riconoscimento. La morte arriva nell’Area Nera quella notte anche nella cella del mostro. Sante è messo alle strette da una scelta difficile e sofferta. Giustiziere o omicida? Reagire o subìre? Nello spazio di una manciata di ore la sua condizione cambia e da agente serio e professionale diventa il principale indiziato dell’assassinio di Virdis, uomo potente e ricco e con amicizie influenti. Sante deve allontanarsi e spiccare il volo come fa il suo piccolo amico Svoboda, un astore sardo di sette mesi, buttato fuori dal nido e salvato e allevato dalla guardia che vive in una sorta di rifugio nella torre di sorveglianza dell’ex colonia penale agricola. La fuga diventa per il protagonista anche indagine e ricerca della verità su una brutta storia che riguarda ragazze scomparse e che viene alla luce con la terribile morte di Franziska. Sante sa bene che per muoversi in un territorio ostile non c’è bisogno soltanto delle tecniche che aveva appreso alla Legione Straniera, ma bisogna confondersi con ciò che lo attornia e volare basso proprio come faceva dall’età di tredici anni, e come uno stormo di pipistrelli è “incerto sulla direzione da prendere”. Il presente si mescola col passato di Sante che si nasconde seguito da “decine di uomini armati di torce” e pensa all’inutilità della sua fuga come era successo da adolescente. A piedi, in bicicletta o sulla barca Nuasquam, “nome perfetto per un latitante”, Sante, non smette mai di disegnare e imprimere su carta ciò che lo circonda. Durante il viaggio-fuga verso la verità disegna il simbolo visto marchiato sulla pelle di Franziska, la coda del diavolo. La caccia si allarga e Sante è braccato e bracca allo stesso tempo un criminale che ha voluto incastrarlo. Il suo sguardo incrocia anche gli occhi di un animale come quelli di una volpe, come se si trovasse di fronte a uno specchio. Il ritmo serrato dello stile narrativo di Maggi non lascia tregua al lettore che si pone le stesse domande del protagonista e si inoltra con lui negli orrori di un sodalizio criminale.

Cristina Marra

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