Chi è babysitter? L’ultimo romanzo di Joyce Carol Oates – un volume di 544 pagine che si bevono come un bicchiere d’acqua fresca – ruota attorno alla terribile vicenda che occupò le pagine della cronaca nera di Detroit tra il 1976 e il 1977. Delitti terribili perpetrati contro bambini di strada di cui non ci vengono risparmiati i dettagli. Non è una lettura adatta a stomaci deboli, il lettore sia avvisato: Oates si spinge senza esitazione nel narrare le ombre oscurissime di esistenze piegate dalla droga e dalle perversioni. E lo fa raccontandoci la storia di Hannah, madre e moglie all’apparenza perfetta dei sobborghi altolocati , non ancora quarantenne, che per debolezza e incoscienza scivola dentro una spirale di bugie e violenza da cui non riesce a divincolarsi .
Eppure pagina dopo pagina la scrittura precisa e coinvolgente di Oates riesce a catturarci, a stringere e sciogliere nodi, a lasciarci allibiti, spaesati e desiderosi di sapere sempre di più. Perché una volta affacciati sul bordo di quel precipizio ci è impossibile non avere il desiderio di proseguire sempre più in fondo, con morbosa curiosità .
La scrittrice americana lo fa con uno stile così originale che, sebbene all’inizio possa sembrare tortuoso -così fitto di parentesi, corsivi, incisi e ripetizioni- in realtà ci ammalia come una cantilena.
Confesso che questo è il primo libro che leggo di questa acclamata scrittrice, ormai 84enne, annoverata tra le grandi della letteratura americana contemporanea, ma non sarà sicuramente l’ultimo.
Promosso a pienissimi voti.