Diciamolo chiaramente.
Venezia, insieme a Roma e Torino, sono le location perfette per omicidi, assassini, spy stories e intrighi tra le ombre di stradine osservate dalla sola luce lunare.
E la Venezia dipinta da Giuseppe Pascali, abile penna e navigato giornalista, non è da meno.
È sufficiente un momento carnascialesco, baccanali tra le calli, maschere e inchiostro.
Ma non l’inchiostro di tutti i giorni.
Il pennino è imbevuto nel calamaio della delazione, dell’accusa, della denuncia dietro lo schermo dell’anonimato che rivela l’esistenza di una Confraternita che opera alle spalle del potere che galleggia sulla Laguna.
Ma quando il nero dell’inchiostro si frammista al rosso rubino del sangue di un autorevole membro del Consiglio dei Dieci, la città lagunare viene sommersa dall’onda lunga del passato in cui va celandosi una verità pronta a far tremare i granitici marmi degli antichi palazzi sotto gli occhi del Doge Girolamo Priuli.
Una intricata vicenda tra verità e menzogne serpeggianti tra le ombre della notte veneziana del 1562, traslata su carta con una prosa godibile e dinamica, che non cede mai il passo alla faciloneria o alla avventatezza, poiché sostenuta dalle massicce fondamenta della ricerca storica, senza mai scadere nel culturalismo gratuito o nella facile esibizione di ostentata erudizione.