Carolina Invernizio è stata con Emilio Salgari la più famosa scrittrice di best seller dei primi anni del Novecento. I critici letterari (come spesso capita) non concordavano affatto con i gusti del pubblico, a tal punto che Antonio Gramsci definì la scrittrice un’”onesta gallina della letteratura popolare”.
L’onesta gallina, che era invece convinta di scrivere romanzi storico-sociali, insieme alla sorella Vittorina è la protagonista di questo godibilissimo romanzo di Lia Celi. Siamo nel 1911, alla vigilia dell’Expo di Torino e la tragica notizia della morte per suicidio di Emilio Salgari sconvolge la città e turba Carolina Invernizio, che per evitare al marito la nomea di gallo consorte preferisce farsi chiamare col cognome coniugale, Quinterno.
La scrittrice, insieme alla sorella Vittorina, voce narrante del libro, si convince che dietro il suicidio del famoso scrittore ci sia invece un omicidio, così le due mature investigatrici dilettanti cercano di scoprire le vere cause che hanno condotto alla morte Salgari. Durante le loro indagini incontreranno nomi conosciuti sui libri di scuola, come Guido Gozzano, e perfino la figlia del celeberrimo Cesare Lombroso, mentre intorno a loro il nazionalismo appoggiato dalla Chiesa cerca di infiammare gli animi per promuovere la conquista della Libia.
Carolina dei delitti è un libro che andrebbe adottato come lettura per le scuole superiori, perché Lia Celi rappresenta un contesto storico e letterario che normalmente è tra i più soporiferi nei manuali scolastici, trasformandolo in pagine piene di arguzia, di accurata ricostruzione storica e di denuncia sociale, il tutto con sublime levità e umorismo.
L’autrice affronta, con garbo e passione, tematiche ancor oggi presenti come ferite mai rimarginate nella nostra società: la condizione femminile di inferiorità, rappresentata ad esempio da Gina Lombroso, che ha bisogno del cognome del padre per giustificare la sua competenza di medico di fronte al trombonesco direttore del manicomio, e dalle pazienti del manicomio di via Giulio, malate non di mente ma di povertà, di ignoranza, di pregiudizi; il perbenismo che maschera una feroce gerarchia sociale; la sufficienza della critica letteraria ufficiale nel bollare come spazzatura l’opera dell’Invernizio, senza tenere in alcun conto il diritto di leggere cose che sollevino lo spirito e lo distraggano da una vita grama.
Per la potente tensione emotiva rimangono indimenticabili nella mente del lettore le pagine in cui viene rappresentata la fiumana di ragazzi radunati davanti alla bara di Emilio Salgari, commossi e riconoscenti per i momenti di divertimento regalati loro dalla fantasia dello scrittore.
Ma sono moltissimi gli spunti di riflessione che questo romanzo offre, con ironia e intelligenza, spingendo chi legge a solidarizzare con gli innumerevoli lettori di Salgari e dell’Invernizio e a rivendicare l’aurea massima che la lettura deve essere anche svago e piacere.